“GRAN CONCERTO DI NATALE” (musiche di Offenbach, Strauss jr. e sr., Waldteufel, Brahms, Dvořák) Orchestra dei Pomeriggi Musicali, direttore Michele Gamba
Milano, Teatro Dal Verme, 20 dicembre 2016
Replicare in Italia la tradizione viennese del concerto di Capodanno, proponendo lo stesso repertorio di musiche della famiglia Strauss e derivati (dallo “Strauss alsazian-parigino”, Waldteufel, al Brahms delle Danze ungheresi, alle operette di Offenbach) è ancora un’operazione difficile: non perché il pubblico non ami questo repertorio, ci mancherebbe, ma perché le nostre orchestre non hanno con questa musica molta consuetudine. Non è solo questione di difficoltà tecnica, pur non trascurabile: è questione di nascere o meno con il suono adatto, con la scansione del “tre quarti” caratterizzata da quel più o meno pronunciato indugio sul secondo tempo, con il piacere di un fraseggio sentimentale e non troppo sdolcinato. La Vienna felix, quella che a ritmo di Valzer folleggiava e si stordiva per dimenticare i problemi sempre più irrisolvibili di un impero prossimo all’implosione; ma anche la Francia umiliata a Sédan, che dall’Impero asburgico importava danze e follie, impiantandole in un panorama teatrale — quello dell’operetta e dell’opéra-comique — addirittura brulicante. Come sempre, quando una tradizione non è propria, si può scegliere di cercare di imitarla (con esiti dubbi) o di prenderne alcuni elementi innestandoli all’interno di una sensibilità propria: e questo vale per il solista, come per il direttore (basti pensare alle geniali prove di Ferenc Fricsay in questo repertorio). Venendo poi al concerto natalizio proposto dai Pomeriggi musicali, alle difficoltà finora esposte si aggiunge la dimensione cameristica del complesso: 26 archi, 12 fiati (senza tromboni e tuba) e un timpanista-percussionista che si alternava fra i vari strumenti con ammirevole scioltezza. Una “immagine sonora”, se posso così dire, che non consente il suono vellutato, opulento dei grandi complessi mitteleuropei che affrontano abitualmente le musiche della famiglia Strauss, dai Wiener in giù: per questo ben ha fatto il giovane Michele Gamba — che dopo il rocambolesco salvataggio last minute di una recita scaligera dei Due Foscari sta iniziando una carriera internazionale di prestigio — a cercare anzitutto un suono preciso, compatto, pulito, senza troppi fronzoli. Un fraseggio, va detto, talmente anti-sentimentale che a volte cadeva in una certa aridità: nell’Ouverture del Pipistrello, ad esempio, non ho sentito quell’abbandono voluttuoso al piacere momentaneo che, nel secondo atto dell’operetta, viene sintetizzato con la frase “felice chi dimentica ciò che non si può cambiare”: Altrove, però — penso al Valzer dell’Imperatore — i dettagli strumentali emergevano come alla luce di una radiografia: approccio non comune, ma che denotava una forte personalità direttoriale, anche se non ancora continua. Ma sono, le mie, osservazioni che al pubblico certamente importano poco: quando la Marcia di Radetzky, offerta come prevedibile bis, ha risuonato nel Teatro, gli applausi a tempo sono risuonati senza farsi attendere, unendo idealmente questo concerto milanese, a pochi passi dal Castello Sforzesco, a quanto, con più sfarzo, si udrà fra pochi giorni al viennese Musikverein.
Nicola Cattò