PRZYBYLSKI, BERTELSMEIER LoveAffairs Alexandra Hutton, Laila Salome Fischer, Christina Sidak, Jörg Schörner, Gideon Poppe, Katarina Bradic, Ronnita Miller, Alexandra Schulz, Bini Lee; Ensemble della Deutsche Oper, direttore Martin Nagashima Toft regia Nina Dudek, Felix Seiler, Tilman Hecker, Margo Zalite scene Lars Unger costumi Belen Monatoliu Garcia luci Nele Tippelmann.
Berlino, Deutsche Oper, 27 giugno 2014
La Deutsche Oper di Berlino ha commissionato a due giovani compositori quattro piccole opere. Una minitetralogia, intitolata LoveAffairs, dedicata al tema dell’amore: argomento che appariva quasi una sfida per delle opere contemporanee, ma che ha stimolato interessanti prospettive di indagine, dall’amore come cliché sociale, all’amore come illusione, come proiezione della fantasia. Le quattro opere sono state messe in scena nello spazio del Tischlerei un grande palcoscenico dove si muovevano pedane, altalene, animali fantastici, con soluzioni diversissime che spaziavano dal monologo intimo all’istallazione multimediale, ideate da dodici giovani artisti (tra compositori, registi, scrittori, scenografi, direttori d’orchestra) vincitori del premio dell’Accademia di teatro Musicale della Deutsche Bank. Il tutto guidato da Martin Nagashima Toft, che dirigeva un ensemble di orchestrali della Deutsche Oper, assai abili a destreggiarsi nei differenti stili musicali. Le due opere composte dal polacco Dariusz Przybylski, Musical Land e Fall, erano giocose, quasi circensi, basate su storie molto fantasiose, inventate dai librettisti Amy Stebbins and Felix Seiler. Nella prima tre protagoniste di celebri musical (Maria da The Sound of Music, Annie e Evita Perón: interpretate dalle ottime Alexandra Hutton, Laila Salome Fischer e Christina Sidak) si interrogavano sul destino di quel genere musicale. E la risposta era brutale, con l’arrivo della atonalità e di Arnold Schönberg (interpretato da Jörg Schörner) che ne decretava la fine, uccidendo tutti i personaggi sul palcoscenico. L’opera Fall si concentrava sugli effetti del caso nelle vicende amorose, e la sequenza delle scene veniva decisa da un generatore random di numeri. Decisamente più interessanti, raffinate, mature le altre due opere, composte da Birke Jasmin Bertelsmeier, allieva di Rihm e vincitrice negli ultimi due anni dello Schneider-Schott-Musikpreis e dello Stipendium della Deutsche Akademie di Villa Massimo. Die Nachtigall und die Rose prendeva spunto dall’omonimo, amaro racconto di Oscar Wilde (L’usignolo e la rosa), trasformato in libretto da Nina Dudek che firmava anche la regia: l’usignolo (il tenore Gideon Poppe) interagiva insieme a due danzatori e a un quartetto vocale (Katarina Bradic, Ronnita Miller, Alexandra Schulz, Jörg Schörner), sfruttando alcuni effetti illusionistici, le localizzazioni diverse degli strumentisti (che suonavano sulla scena), librando il protagonista a mezz’aria (con altalene, praticabili sospesi, montacarichi). L’effetto era quello di una narrazione onirica, un po’ sinistra, in perfetta sintonia con le trame vocali e strumentali. Dopo Wilde, la Bertelsmeier si è ispirata a Jean Genet per la sua seconda opera, e in particolare al romanzo Querelle de Brest, dal quale ha tratto anche un celebre film Rainer Werner Fassbinder, nel 1982. Storia di mainai, di prostituzione, di sodomia e traffici di droga, trasformata in libretto da Katinka Deecke. E l’opera è parsa un piccolo capolavoro, che ha dimostrato, ancora più dell’altra, il talento drammatico della giovane compositrice tedesca. Tutti i ruoli dei marinai erano affidati a voci femminili (Alexandra Hutton nel ruolo eponimo, e con lei Katarina Bradic, Alexandra Schulz, Christina Sidak), donne in abiti maschili (ma sexy), con baffi e sospensori per rappresentare i genitali, come esseri umani privi di una identità sessuale definita. Ma anche la fitta polifonia, giocata su un continuo sdoppiamento tra parti dal vivo e parti registrate, contribuiva a creare una sofisticata drammaturgia musicale fatta di ambiguità e di doppi. Questo gioco di specchi diventava anche l’idea centrale per il regista Tilman Hecker, che insieme al videomaker Thilo Schmidt, sfruttava due grandi schermi ai lati della scena per fare interagire tutti i personaggi con degli alter ego, che riflettevano, fuori sincorno, le loro azioni.
Gianluigi Mattietti