MOZART Quartetto per archi in SI bemolle K 458 «La caccia»; Quartetto per archi in re K 421; Quintetto per clarinetto ed archi in LA K 581 Cuarteto Casals clarinetto Alessandro Carbonare
Varese, Salone Estense, 13 gennaio 2017
La serata tutta mozartiana con cui la Stagione Musicale del Comune di Varese ha aperto il 2017 vedeva protagonisti il Quartetto Casals ed il clarinetto di Alessandro Carbonare. Pieno successo di pubblico, con i 250 posti del settecentesco Salone Estense quasi tutti occupati (solo qualche sedia vuota per il gran freddo e la neve caduta il giorno prima) ed un esito, se non travolgente, in ogni caso interessante. Il Casals interpreta Mozart con vigore e freschezza, come ha subito dimostrato l’attacco, incisivo ed energico, del «Quartetto in Si bemolle maggiore K 458» «La caccia». Possiede un suono corposo, denso, perfino materico, un suono che non ti aspetteresti per Mozart e che ti scuote dalle delicate fantasie a cui, ascoltando Mozart, è facile lasciarsi andare. Il rilievo dato al ritmo, il fraseggio molto vivace, i contrasti accentuati sono indizi di una lettura lontana dalla levigatezza neoclassica, lontana dalla ricerca della misura in favore piuttosto della varietà, della sovrabbondanza e di una immediatezza espressiva che a Varese si è realizzata compiutamente soprattutto nei movimenti rapidi, come il finale del «Quartetto K 458» ed il Minuetto del «Quartetto in K 421», con le sue robuste venature popolari. La contropartita è stata, però, che i movimenti lenti ne sono usciti un po’ penalizzati, soprattutto l’Adagio del «Quartetto K 458» che forse avrebbe richiesto un maggiore scavo introspettivo.
È una scelta interpretativa un po’ insolita in Mozart, che comunque ha una sua validità. Il limite del Quartetto Casals ascoltato a Varese erano piuttosto le imprecisioni che qua e affioravano e certi scompensi dinamici, con il primo violino (Abel Thomàs nei due quartetti, Vera Martinez-Mehner nel «Quintetto K 581») a volte un po’ troppo in evidenza. Al pubblico del Salone Estense, abituato ad ascoltare compagini come il Quartetto di Cremona ed il Quartetto Bennewitz, certi dettagli difficilmente saranno sfuggiti. Diciamo che per l’irruenza, la vivacità e la capacità di coinvolgere l’uditorio il Casals assomiglia più al Quartetto Fauré, per prendere un termine di paragone, che ad un quartetto levigatissimo ed impeccabile, nell’intonazione e nell’amalgama timbrico, come il Quartetto Cambini, francese, una delle giovani formazioni più interessanti sulle scene quartettistiche europee.
In ogni caso nella seconda parte del concerto varesino c’era il clarinetto di Alessandro Carbonare, che è un miracolo della natura di fronte al quale ogni volta ci si può soltanto stupire. Ha profuso lirismo a piene mani nel «Quintetto in LA K 581», una delle pagine più commuoventi e sublimi dell’intero repertorio mozartiano, abbandonandosi ad un fraseggio quieto e dolce, soprattutto celebre Larghetto. I quattro del Casals si facevano piccoli piccoli quando lo accompagnavano, come per non disturbare la sua ricerca del pianissimo, salvo esibire nei momenti dialogici un fraseggio più mosso e nervoso, a dimostrazione che nell’approccio alla partitura restavano delle differenze di fondo. Gli esiti sono stati comunque alti, in crescendo di emozioni che ha condotto, dopo un delizioso Minuetto, ad un finale tratteggiato ancora una volta — come nel caso dei due Quartetti nella prima parte della serata — con ruvido vigore. Lunghi applausi al termine e come bis una trascrizione della “Fantasia a cinque voci su una nota” di Purcell.
Luca Segalla