BACH Passione secondo Giovanni BWV 245 soprano Lucy Crowe contralto Ann Hallenberg tenore, Evangelista e servitore Andrew Staples basso, Pietro e Pilato Christian Gerhaher basso, Gesù Roderick Williams Orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Antonio Pappano
Roma, Parco della Musica, Sala S. Cecilia, 13 aprile 2017
Fino a qualche decennio fa la Passione secondo Giovanni di Bach, concepita a Lipsia per il Venerdì Santo del 1724, era considerata la sorella minore della più corposa e blasonata Passione secondo Matteo. Non era però certo questa la percezione che l’autore doveva avere della sua Johannes Passion, se la mise a coronamento dell’anno liturgico-musicale, ovvero dell’“armonioso servizio” divino, dopo una serie di splendide Cantate sacre nelle quali sperimentò le differenti maniere di combinare insieme arie, recitativi, cori e corali. E l’esecuzione all’epoca suscitò scalpore non solo in un pubblico non avvezzo a un tale innovativo ed esaustivo commento esegetico in musica delle Sacre scritture, ma anche nei membri del Concistoro cittadino, tanto che Bach si trovò a dover ritoccare diverse volte la partitura nei decenni a venire (tanto che ne esistono quattro versioni). Molte le differenze con la consorella maggiore, come ad esempio la maggiore centralità della figura di un Cristo pienamente consapevole della sua missione salvifica, qui rappresentato più nella sua maestosità che umanità, o la più fitta interazione della musica con il racconto dell’Evangelista.
Del resto il Vangelo secondo Giovanni era anche il preferito di Lutero che lo riteneva “di una bellezza ineguagliabile, il Vangelo principale, superiore ai tre altri e degno di essere loro preferito” proprio grazie al “suo resoconto magistrale di come la fede in Cristo vince il peccato, la morte e l’inferno e dona la vita, la virtù e la salvezza”. Un chiaroscuro quasi caravaggesco ed una scelta simbolica oculata delle tonalità con diesis e bemolli, ma anche un cammino dal grave all’acuto, dall’ombra della disperazione alla luce della speranza, un itinerario al contempo di preghiera individuale, arte e devozione collettiva.
Dopo il Magnificat, la straordinaria ed inimitabile Messa in si minore e la Passione secondo Matteo, eseguite negli anni scorsi nelle stagioni ceciliane, Pappano approda ora per la prima volta alla Johannes Passion con orchestra e coro dell’Accademia ed un quintetto vocale di solisti stranieri di grande affidabilità stilistica. Pappano, con la sua esperienza nel campo teatrale e la rodata attenzione alla parola cantata che si fa gesto, non poteva non sentirsi a suo agio nel seguire da vicino il susseguirsi della drammatica vicenda passionistica, esaltandone sia i momenti narrativi ed evocativi, sia quelli meditativi e riflessivi, pause liriche all’azione. Tutti gli ingredienti del dramma sono curati e tirati a lucido (il coro sfaccettato della folla, i piccoli ruoli ed le scultoree parti protagonistiche) e ricevono la loro giusta contestualizzazione: pathos al servizio della devozione penitenziale e della preghiera. Se si dovesse eccepire proprio qualcosa sarebbe semmai solo nella eccessiva corposità della massa corale e nella rinuncia al colore originale dato da strumenti oggi non reperibili in una moderna orchestra sinfonica, potendosi qui avvalere solo della viola da gamba, del liuto e del cembalo, ma dovendo rinunciare al timbro di lignei traversieri, di squillanti oboi barocchi e di armoniose viole d’amore (queste ultime per la centrale aria del tenore “Erwage wie sein” che evoca i colori dell’arcobaleno come simbolo di pacificazione), rimpiazzate dai loro più moderni succedanei. Sicché coloristicamente l’effetto era raggiunto solo nell’aria del contralto con viola da gamba “Es ist vollbracht!” (Tutto è compiuto), cui la Hallenberg donava grande intensità emotiva. Eccellenti tuttavia anche suoi compagni di viaggio, ovvero il biondo soprano Lucy Crowe dalla voce adamantina, il chiaro tenore Staples nel ruolo chiave ed affabulatore dell’Evangelista, i due bassi Roderick Williams (Gesù) e Christian Gerhaher (Pilato e Pietro) dalle voci pastose, brunite e perentorie. Corretta musicalmente ma non sempre toccante la presenza corale. Soddisfazione e unanimi consensi finali tra il pubblico.
Lorenzo Tozzi