RACHMANINOV Quartetto per archi n. 1 GRIEG Sonata per violino e pianoforte in do op. 45 GLAZUNOV Chant du Ménestrel in fa diesis op. 71 per violoncello e pianoforte CIAIKOVSKI Sestetto per archi in re op. 70 «Souvenir de Florence» Quartetto Escher pianoforte Alessio Bax violino Henning Kraggerud viola Lise Berthaud violoncelli Antonio Lysy e Paul Watkins
BACH/TEPFER Goldberg Variations/Variations MESSIAEN Da Des Canyons aux Étoiles: Appel Interstestellaire TEPFER Quintetto per pianoforte e archi «Solar Spiral» pianoforte Dan Tepfer corno Radovan Vlatković Quartetto Escher
Incontri in Terra di Siena: Montefollonico (Chiesa del Triano) e Città della Pieve (Teatro degli Avvalorati), 31 luglio e 2 agosto 2017
In cammino come i viaggiatori e i pellegrini medievali, ma alla ricerca della musica, tra borghi antichi, pievi e piccoli teatri. Musica raffinata, qualche volta d’élite, quasi sempre intrigante, anche per l’atmosfera familiare che in questi luoghi si respira. Sono gli Incontri in Terra di Siena, otto giorni di concerti tra la tenuta della Foce (nei pressi di Chianciano), Città della Pieve, Montefollonico, Pienza, il castello di Castelluccio ed il minuscolo borgo di Castiglioncello del Trinoro, arroccato su una collina della Val d’Orcia e rimesso a nuovo da un milionario statunitense: tutto raccolto un fazzoletto di terra fra le province di Siena e Perugia. In questi pellegrinaggi musicali moderni l’automobile si è sostituita al passo lento e cadenzato degli antichi pellegrini, e ci si sposta lungo strade, stradine, stradicciole e per qualche tratto anche strade bianche, che sono uno dei simboli del paesaggio del Senese. Il fascino della natura è velato, in questa estate torrida, da una gravezza che toglie il respiro, ma la musica rappresenta la meritata consolazione delle fatiche degli spostamenti. Musica da camera, quasi sempre, con interpreti che sono amici oltre che colleghi, quasi tutti dell’entourage musicale statunitense e newyorchese, nello spirito cameratistico proprio di molti dei piccoli e meno piccoli festival estivi del centro Italia.
Nella piccola Chiesa del Triano, a Montefollonico, abbiamo nuovamente ascoltato l’ottimo violinista norvegese Henning Kraggerud, protagonista lo scorso anno di una memorabile serata insieme al chitarrista Pepe Romero e al violoncellista Antonio Lysy, alla cui famiglia americano-toscana si deve la creazione degli Incontri, giunti all’edizione numero 29. Kraggerud porta sempre la musica ad un alto grado di incandescenza, per la concitazione ritmica, l’ampio ricorso al vibrato ed un fraseggio ampio e prodigo di emozioni. In questo senso emergeva tutta la teatralità del primo movimento della Sonata in do n. 3 di Grieg, affrontata insieme al pianista Alessio Bax, da quest’anno nuovo direttore artistico del Festival; per contro il tono intimo e raccolto del successivo Allegretto, affine a quello dei brevi Pezzi lirici per pianoforte, era colto nel suo fascino malinconico in un’interpretazione piena di abbandoni ma anche capace di mettere in luce la sana e robusta vena popolare della sezione centrale dell’Allegretto e del movimento conclusivo. Più ingessato e meno coinvolgente per la qualità del suono è apparso invece il Quartetto Escher, giovane formazione newyorchese che quest’anno era per così dire il quartetto «in residence» del Festival, protagonista di una lettura corretta anche se priva di particolari guizzi dell’incompiuto ed acerbo Quartetto n. 1 di Rachmaninov, pagina degli anni di apprendistato del compositore russo, che ne portò a termine solo i primi due movimenti.
Il programma proponeva anche una rarità di Aleksandr Glazunov, il malinconico Chant du Ménestrel con Alessio Bax e il violoncellista Paul Watkins, ed infine una delle più celebri pagine cameristiche di Ciaikovski, il sestetto Souvenir de Florence composto tra l’estate del 1890 e l’estate del 1891 in ricordo di un soggiorno fiorentino di cui non resta nessuna traccia diretta sul piano tematico ma che ha evidentemente stimolato l’amore del compositore per il canto e la melodia. Ad interpretarlo, accanto a Kraggerud e Watkins, c’erano la violista Lise Berthaud, il violoncellista Antonio Lysy e due membri del quartetto Escher, il violinista Adam Barnett-Hart ed il violista Pierre Lapointe: un’interpretazione vigorosa e un po’ scomposta, nella quale l’impeto ritmico, stimolato da un Kraggerud sempre molto energico, prevaleva sulla ricerca della levigatezza dell’insieme e dall’amalgama sonoro.
Agli Incontri in Terra di Siena la programmazione non è strettamente classica e ne abbiamo avuto un’ulteriore prova con il concerto di Dan Tepfer a Città della Pieve, nel minuscolo Teatro degli Avvalorati. Il trentacinquenne pianista americano, nato e cresciuto a Parigi ed oggi residente a New York, ha presentato le sue Variazioni sulle Variazioni Goldberg di Bach, un progetto testimoniato da un CD del 2011 che lo ha reso celebre in tutto il mondo. Giù il cappello fino in fondo per il coraggio, giù il cappello a metà per gli esiti. Tepfer esegue integralmente le Goldberg bachiane (però senza ritornelli) facendo seguire a ciascuna variazione una sua improvvisazione. Siccome è un pianista classico, la sua esecuzione delle Goldberg è discreta (a parte un vuoto di memoria in una delle ultime variazioni), pur non raggiungendo né il grado di raffinatezza delle interpretazioni di pianisti come Schiff ed Angela Hewitt, né l’originalità di un Bacchetti o il calore e la cantabilità di una Beatrice Rana, solo per fare alcuni esempi tra quelli più recenti. Interessanti si sono rivelate invece le improvvisazioni, tutta sostanza e niente spettacolo, brevi illuminazioni capaci di scuotere immediatamente l’ascoltatore. Forse il limite di una simile operazione è l’effetto straniante del continuo passaggio dal Barocco autentico alle improvvisazioni jazz, queste ultime di necessità limitate dallo schema armonico dell’aria, con la conseguenza di una certa frammentarietà stilistica.
Con il suo Quintetto, presentato in prima esecuzione europea, Dan Tepfer ha invece mostrato di sapersi muovere con discrezione anche nei meandri del linguaggio della musica colta novecentesca, facendo riferimento a Ligeti piuttosto che a Webern senza rinunciare ad uno stile personale, fatto di sincopati e di un’estrema rarefazione sonora. A fare da cerniera tra i due brani c’era una breve e folgorante pagina per corno solo composta nel 1972 da Olivier Messiaen, Appel Interstellaire, una sorta di campionario dei più complicati problemi tecnici che metterebbe i brividi a chiunque tranne ad un supervituoso come Radovan Vlatković: lo chiamano «il dio del corno» ed ascoltandolo in concerto se ne comprende il motivo. Con Vlatković anche una pagina così mostruosamente virtuosistica resta prima tutto musica, con la sua enorme ricchezza di sfumature timbriche e dinamiche ed il suo fraseggio pieno di pause e di silenzi.
Luca Segalla