VERDI Jérusalem M. Pertusi, R. Vargas, A. Massis, P. Gálvez, V. Boi, D. Vatchkov, P. Antognetti, M. Catellani; Filarmonica Arturo Toscanini, Coro del Teatro Regio di Parma, direttore Daniele Callegari regia, scene e costumi Hugo de Ana
Per l’inaugurazione del Festival Verdi 2017 il Teatro Regio di Parma ha scelto Jérusalem, rilettura dei Lombardi alla prima crociata del 1843, andata in scena a Parigi all’Opéra nel novembre del 1847 con un successo contrastato da parte del pubblico filo-Meyerbeer, che si sapeva stesse lavorando a Le Prophéte dopo il trionfo di Les Huguenots del 1836 nello stesso teatro. Meno prevenuta era stata la critica guidata da Théofile Gautier.
I quattro atti su libretto in francese di Alphonse Royer e Gustave Vaëz, autori già di quello de La favorite di Donizetti e della traduzione dell’Otello di Rossini e di Lucia di Lammermoor, hanno scatenato le ricerche di musicologi e studiosi a vario titolo, che li hanno vivisezionati per metterli a confronto con quelli dei Lombardi e decretarne alla fine un’indiscussa superiorità: musicale e drammaturgica. Dopo un fugace ritorno nel 1850 alla Scala con il titolo di Gerusalemme nella traduzione italiana (poco soddisfacente) di Calisto Bassi, solo nel secondo dopoguerra qualcosa ha cominciato a muoversi per merito di Gianandrea Gavazzeni: a Venezia e in italiano nel 1963, a Torino (Rai) e nell’originale francese nel 1975.
Lasciando agli addetti ai lavori il compito di mettere a confronto le due partiture indicandone altresì quali pagine siano state riutilizzate, e quali nuove Verdi abbia inserito nella versione in francese — oltre a quelle obbligatorie per i balletti (trenta minuti circa in apertura del III atto) — va detto subito che alla luce di quanto è andato in scena al Regio Jérusalem merita un sicuro riscatto: per logica drammaturgica al di là anche di qualche incongruenza (dato per moribondo nel I atto, il Conte di Tolosa ricompare vivo e vegeto nel II…) e per la qualità della scrittura musicale. Verdi ha avuto anche il merito di avere abilmente disatteso alcuni diktat del gusto francese del tempo: ad esempio, il sipario si leva su un duetto d’amore (Gaston-Héléne) e non su una tradizionale scena corale, mentre il rapporto coralità-individualità è rovesciato a favore di quest’ultima nel senso che il triangolo d’amore Gaston – Hélène – Roger proprio del melodramma italiano diventa di fatto perno dell’intera vicenda, senza che però l’assunto storico ne venga sminuito.
Per rendere al meglio questo equilibrio si rivelano decisive le scelte del regista e la resa musicale nelle sue quattro componenti: direzione, orchestra, interpreti, coro. Al Regio hanno funzionato tutte egregiamente. Firmato da Hugo de Ana (regia, scene e costumi), lo spettacolo è apparso di notevole qualità, funzionale a quell’equilibrio al quale si accennava; inoltre, finalmente gli interpreti non hanno dovuto cantare tenendosi in equilibrio su ardue posture e le masse corali si sono mosse sul palcoscenico con perfetta logica drammaturgica. Detto del coro, come sempre eccelso nelle numerose e ardue pagine in cui è stato impegnato, mi ha pienamente soddisfatto anche Annick Massis, una Hélène dalla voce piena, tenuta sempre sotto controllo, sicura nel bel canto verdiano anni Quaranta. Solido come sempre Michele Pertusi, in difficoltà invece Ramón Vargas quando la sua parte richiedeva intensità e voce ferma nel registro acuto, come nella “Grand scéne et air” del terzo atto, uno dei cinque numeri ex novo di Verdi. Daniele Callegari, al di là di sonorità forzate del Coro nel primo atto, ha guidato l’orchestra con mestiere, quello di chi sa valorizzare le qualità della compagine che ha davanti, qui impegnata in una partitura lunga, ricca di sfumature, con assoli disseminati qui e là soprattutto dei fiati, sovente punto debole della Filarmonica Toscanini; risolto finalmente questo problema, ora questa Orchestra può davvero mirare in alto. Una notazione di merito va riservata alle visualizzazioni computerizzate firmate da Ideogramma – Sergio Metalli, sempre coerenti con quanto sta avvenendo sul palcoscenico e decisamente suggestive.
Ettore Napoli