WEBERN Langsamer Satz BEETHOVEN Quartetto n. 9 in DO op. 59 n. 3 «Razumovskij» Quartetto di Cremona
Milano, Villa Necchi Campiglio, 9 marzo 2018
Può capitare che un concerto del tardo pomeriggio dall’aria innocua, in apparenza una semplice occasione per fare della buona musica da camera, finisca per rivelarsi un’esperienza indimenticabile. Nell’elegante cornice di Villa Necchi Campiglio, dimora degli anni Trenta del Novecento situata nel centro di Milano a pochi passi del Conservatorio Verdi, oggi proprietà del FAI, veniva presentata la prima edizione del Concorso Nazionale per Quartetti d’archi Sergio Dragoni, previsto per il mese di maggio del 2019. Il concorso è nato sotto l’egida della Società del Quartetto di Milano, da un’idea di Simone Gramaglia, il violista del Quartetto di Cremona, che sarà anche il presidente della giuria; il concerto, aperto a un pubblico pagante, era il corollario della conferenza stampa di presentazione.
Siamo andati con l’idea era di assaporarci un quarantina di minuti di musica rilassati, senza doverci preoccupare della recensione. La recensione, invece, è venuta da sé, perché non soltanto il Quartetto di Cremona — questo lo sapevamo — possiede una personalità musicale tale da scuotere ogni volta l’uditorio, ma in questa occasione suonava i preziosissimi strumenti del cosiddetto Quartetto Stradivari, appartenuti a Niccolò Paganini. Il quartetto, uno dei soli sei set di quartetti realizzati dal grande liutaio cremonese, è stato assegnato al Quartetto di Cremona lo scorso autunno della Nippon Music Foundation, dopo essere stato tra le mani del Quartetto Paganini, del Quartetto Hagen e del Quartetto di Tokyo.
Il suono del Quartetto di Cremona è apparso come trasfigurato. Un suono pastoso e ricco di armonici, al quale la fluidità del fraseggio degli interpreti dava ancora più spessore. Un suono penetrante eppure sempre morbido in tutta la gamma dinamica, dai pianissimi, controllati a meraviglia dai quattro del Cremona, fino ai forti. Il set quartettistico, realizzato da Stradivari in momenti diversi della sua attività, venne riunito per la prima volta da Nicolò Paganini, che li acquistò separatamente. Il primo violino (quello affidato a Cristiano Gualco) risale al 1727, il secondo violino (quello di Paolo Andreoli) è datato 1680, la viola di Simone Gramaglia è del 1731, mentre il violoncello di Giovanni Scaglione creato da Antonio Stradivari nel 1736, ormai novantaduenne, un anno prima della morte.
Suonano sul velluto, i quattro del Cremona. Nel Langsamer Satz, composto nel 1905 da un ventiduenne Anton Webern non ancora in odore di atonalità e comodamente adagiato nei confini dell’estetica tardoromantica del sentimento, c’era tutto quello che ci doveva essere: il bel suono, l’amalgama timbrico, un fraseggio fascinoso e avvolgente, la sicurezza del colpo d’arco, la precisione dell’insieme. Era solo il preludio a una interpretazione del Quartetto «Razumosvkij» impareggiabile per leggerezza del fraseggio, intensità dell’espressione, eleganza e dominio tecnico. Si dovrebbe citare per intero il «Razumoskij» ascoltato a Villa Necchi Campiglio. Noi ci limitiamo a parlare dell’Allegro molto conclusivo, spettacolare per l’intelligibilità di ogni dettaglio anche alla velocità estrema staccata dal Quartetto di Cremona, come in una stampa ad altissima definizione. E insieme naturale, fresco, elegante e — quasi sempre — privo di forzature nel timbro, con ogni parametro calibrato al millimetro ma senza dare alcuna impressione di artificiosità.
Luca Segalla