BEETHOVEN Sonata in do op. 13 «Patetica»; Sonata in MI op. 109 DEBUSSY Images, livre II CHOPIN Sonata in 3 in si op. 58 pianoforte Seong-Jin Cho
Chiasso, Cinema Teatro, 18 marzo 2018
Seong-Jin Cho suona come oggi suonano quasi tutti i vincitori dei grandi concorsi pianistici internazionali, con molta professionalità e con stile, dando prova di un alto artigianato musicale che si può raggiungere solo attraverso una lunga e scrupolosa preparazione. Il Debussy ascoltato a Chiasso era impeccabile per la pulizia, il nitore del fraseggio, il controllo timbrico su ogni singola nota: una rappresentazione sonora ad altissima definizione e senza il minimo cedimento in senso sentimentale, in perfetta linea con l’estetica debussyana, ma anche senza fantasia né slanci, con la conseguenza che tutto è apparso un poco freddo.
Fuori dallo spazio incantato e sospeso della musica di Debussy questa reticenza agli abbandoni sentimentali diventa un limite vistoso, soprattutto in una pagina come la «Patetica» di Beethoven, un vero e proprio studio sul «pathos» (o meglio, sul «pathétique», come recita il sottotiolo dello stesso compositore) che richiederebbe ben altri slanci e ben altri abbandoni di quelli timidamente mostrati dal ventiquattrenne pianista coreano. Seong-Jin Cho ha vinto nel 2015 l’ultima edizione del Concorso Chopin di Varsavia e per vincere lo Chopin bisogna essere pianisticamente a posto. Sulla sua preparazione pianistica non c’è infatti nulla da eccepire; perfino nella «Patetica» erano rimarchevoli la precisione anche dei più piccoli dettagli, la sgranatura dei passaggi veloci, il sapiente uso del pedale, l’eleganza nel fraseggio e in generale il virtuosismo, che pur senza essere stratosferico resta un virtuosismo di classe. L’impressione, però, è sostanzialmente quella di un accademismo di alto livello, perché se Seong-Jin Cho suona bene in realtà non sembra davvero lavorare sull’interpretazione delle pagine che affronta. Spesso i giovani di talento, nella loro inesperienza, tradiscono delle insicurezze ed abbozzano un’interpretazione senza riuscire ad esprimerla in senso compiuto, sono insomma ancora acerbi nella loro foga e nel loro cercare una voce personale. Penso alle esibizioni del giovanissimo Pollini subito dopo la vittoria al Varsavia, oppure al Trifonov diciassettenne, quando stava per entrare nell’olimpo dei grandi. Seong-Jin Cho, invece, non tradisce alcuna incertezza, perché come pianista è già perfettamente formato e come interprete ancora lascia intuire poco, al di là di una generica eleganza (penso all’Adagio cantabile della «Patetica»). E se la «Patetica» era priva di autentico mordente, l’Op. 109 si è risolta in un generico nervosismo, con dei fortissimi, tra l’altro, fin troppo rumorosi.
Considerata l’eleganza alla tastiera potremmo immaginare che in Chopin Seong-Jin Cho si trovi nel suo elemento naturale. In realtà il pianista coreano non è un nuovo Stanislav Bunin, vincitore del concorso Chopin nel 1985, un interprete certamente poco incline agli abbandoni sentimentali ma dotato di un’eleganza aristocratica e piena di fascino: la Sonata n. 3 ascoltata a Chiasso ci è infatti sembrata a tratti generica nel suono e nel fraseggio, con un finale perfino un po’ pesante, suonata in modo corretto ma timbricamente monocroma e poco caratterizzata sul piano espressivo.
Luca Segalla