PUCCINI Musiche per organo organo Liuwe Tamminga
Reggio Emilia, Palcoscenico del Teatro Municipale “Romolo Valli”, 25 novembre 2018
Giacomo Puccini, il mio lettore lo sa bene, era figlio di un organista e discendente da una nutrita schiera di musicisti di chiesa. D’altronde la marginale e culturalmente non certo fervida provincia di Lucca poco altro aveva da offrire. E così il vispo figlio di Michele (che aveva imparato a distinguere i tasti dell’organo e i suoni che ne uscivano fregandosi le monetine diverse che il padre vi metteva sopra come esca), dopo un primo assaggio del violino, fu iscritto alla classe d’organo dell’istituto musicale lucchese e già dal 1873 divenne titolare dell’organo di S. Girolamo, restandolo per una dozzina d’anni. Da qualche tempo archivi pubblici e collezioni private hanno fatto riemergere un gruppo piuttosto nutrito di composizioni per organo del giovane Puccini (circa una cinquantina, ad oggi), ormai in buona parte pubblicate, talvolta eseguite e, infine, splendidamente registrate dallo stesso Liuwe Tamminga che ne ha ora riproposta una selezione all’organo del Teatro Municipale di Reggio Emilia, in occasione d’un simposio pucciniano a latere degli allestimenti in quel teatro di Tosca e de Le Villi. L’eccellente esecutore non poté celare le debolezze strutturali di quei pezzulli incònditi, frutto di esercizî scolastici e di volenterosi esperimenti d’accompagnamento alla liturgia. Anche Puccini prima di diventare il ‘Sor Giacomo’ dovette essere ‘Giacomino’. I brani per studio davvero nulla lasciano presagire del genio a venire, esaurendosi in scolastici accostamenti armonici sovrastati da melodie piacevolmente qualunque; i saggi da chiesa, invece, hanno maggiore interesse. Non per una più solida strutturazione della forma — che in realtà manca, essendo anzi il punctum dolens di tutta questa produzione pucciniana: quasi sempre vien da chiedersi dove il giovane autore volesse andare –, ma perché il loro carattere sempre ritmicamente vivace, la loro cantabilità irriverente e l’umore scanzonato, il tono manifestamente popolaresco delle melodie non si è soliti accostarli ad una elevatio o communio, o vero a un offertorio, quanto piuttosto a delle danze paesane. D’accordo, la musica sacra italiana, nell’Ottocento, era stata profondamente contaminata (come lamentano i noiosi puristi) dalle manieracce melodrammatiche, ma questi pezzettini pucciniani vanno ben oltre la maniera, trasudando di quell’ironia irriverente di cui i Toscani tanto (a ragione) si compiacciono: l’impressione è che Giacomino, già quindicenne, prendesse per li fondelli, non aspettando altro che di spiccare il volo (gli artisti, quelli veri, lo sentono dentro di sé: o non fu lo stesso per Verdi, nato in un bu’o di paese peggio di Puccini?) Impressione di canzonatura che è rafforzata da alcuni titoli, quale ad esempio la Pastorella gravida – forse il più delizioso dei pezzi eseguiti da Tamminga a Reggio – che, se i musicologi in doppio petto (o in tailleur, secondo i gusti) si spogliassero un po’ della loro pompa, non avrebbero bisogno di trarre in ballo la Pastorale (‘pastorella’ ne è, in musica, sinonimo), né d’interrogarsi come fanno sul significato di quel ‘gravida’, che nulla ha a che vedere né col ‘grave’ (nel senso dell’andamento ritenuto tipico della pastorale), né con quello di ‘pieno’, nel senso della sonorità dell’organo appropriata al pezzo: ‘pastorella gravida’ è proprio la Silvia dopo una “visita” del suo Aminta! Il contenuto (del pezzo) vien da sé.
Anche per queste ragioni, a restituire nella loro piacevolezza lieve i graziosi benché spesso inconcludenti esercizî pucciniani, non poteva esserci musicista più adatto di Liuwe Tamminga; uno dei rari organisti non afflitti dalla sindrome ieratica del Bach, ed anzi attento alle espressioni più interessanti (anche antropologicamente) della cultura popolare, come testimonia il delizioso CD ‘Tarantella nel Salento’, nel quale Tamminga si associa – tra gli altri — al mago della chitarra battente Stefano Albarello e al genio proteiforme di Fabio Tricomi, voci illustri della nostra tradizione folklorica.
Bernardo Pieri