VERDI Aida S. Vassileva, J. Kutasi, M. Berti, A. Veccia, F. Beggi, S.P. Choi, B. Nacoski, M. Calcaterra; Coro e Orchestra del Teatro Carlo Felice, direttore Andrea Battistoni regìa Alfonso Antoniozzi scene Monica Manganelli costumi Anna Biagiotti
Genova, Teatro Carlo Felice, 9 dicembre 2018
Inaugurare una stagione operistica con Aida non si può certo definire una scelta coraggiosa. Tuttavia bisogna aggiungere che il capolavoro verdiano mancava a Genova da sedici anni, e inoltre che il CarloFelice ha provato a stuzzicare le aspettative per questo nuovo allestimento con due elementi di novità: l’adozione di un apparato scenico integralmente virtuale, e il debutto di Svetla Vassileva in uno dei ruoli centrali del repertorio.
L’idea di una«videoscenografia» avrebbe potuto facilmente risolversi in uno stucchevole sfoggio di effetti speciali: alla prova dei fatti, tuttavia, quella creata da Monica Manganelli in sinergia col regista Alfonso Antoniozzi, seppur non pienamente convincente in tutti i dettagli (poco efficaci la Marcia trionfale e il Finale dell’opera), si è rivelata piuttosto accattivante e non troppo intrusiva nei confronti dell’elemento musicale, anche se qualcuno è rimasto infastidito dall’eccesso di proiezioni al proscenio. Si potrebbe parlare in effetti di una versione scintillante e spesso dinamica dei vecchi e gloriosi fondali dipinti; il suo effetto generale, proiettando l’azione – in sintonia coi bei costumi di Anna Biagiotti – a metà tra l’antico Egitto e la fantascienza, con un occhio all’attualità (i prigionieri etiopi come migranti), è sembrato tutto sommato svecchiante, grazie anche alla regìa competente e figurativamente attenta di Antoniozzi, che ha messo a frutto la lunga esperienza di cantante. L’esperimento insomma è degno di considerazione futura,sia in chiave di impatto spettacolare che in quella della sostenibilità economica (si possono facilmente immaginare tra l’altro i vantaggi per la «circolazione» dell’allestimento, almeno per teatri che possiedano la tecnologia per adottarlo).
La mancanza di quinte ed elementi scenici, che rende acusticamente ancora più probante l’ampio palcoscenico del Carlo Felice; la presenza di un direttore non proprio incline ai camerismi; nonché il confronto con protagonisti dalle voci piuttosto potenti, sono tutti fattori che non hanno offerto certo il contesto ideale al debutto dell’Aida di Svetla Vassileva, la cui fisionomia vocale non possiede tutte le caratteristiche del ruolo: sin dalle prime battute di «Ritorna vincitor!» si è chiaramente avvertito come la prima ottava manchi di spessore, mentre più avanti nell’opera lo sforzo di cantare in una tessitura non ottimale si è tradotto in inflessioni opache e schiacciate proprio in quelle sfumature inzona acuta che in teoria avrebbero potuto essere tra i punti di forza del soprano bulgaro, come i Si bemolle dolcissimo del duetto finale. Si è apprezzato tuttavia un personaggio credibile in scena, e nei momenti migliori (come la Romanza del terzo atto o l’Andante assai sostenuto «Padre! A costoro schiava non sono») in grado di commuoverci col dramma di una fanciulla schiacciata da forze che non è in grado di fronteggiare.
Antagonista temibile, in note gravi poitrinée come in acuti taglienti, l’Amneris di Judit Kutasi: l’emissione un po’arretrata limita un poco i colori a disposizione del mezzosoprano rumeno, ma ciononostante il suo personaggio prende gradualmente quota, sfociando in un duetto con Radamès al calor bianco e più in generale in un quarto atto convincente. Marco Berti offre come sempre sensazioni contrastanti: lo squillo spesso elettrizzante degli acuti convive con l’inerzia espressiva e qualche incertezza nell’intonazione. Vocalmente imponente e scenicamente incisivo l’Amonasro di Angelo Veccia, anche se il suo canto appare avaro di legato: eloquente il Ramfis di Fabrizio Beggi, la cui padronanza della mezzavoce contribuisce a fare della Scena della consacrazione forse il momento più intenso e suggestivo di questa Aida, grazie anche all’ottimo apporto del coro. Il Messaggero, infine, vienepresentato da Antoniozzi ferito e sorretto da due figuranti: un’idea interessante, concretizzata dal tenore Blagoj Nacoski in un intervento intenso, capace di suscitare empatia.
Con le sue interpretazioni esuberanti ed epidermiche Andrea Battistoni si è ormai consolidato nel cuore del pubblico genovese come una sorta di erede di un altro direttore molto amato, Daniel Oren, col quale in effetti condivide in buona misura l’approccio interpretativo. Ha condotto comunque l’orchestra a un’ottima interpretazione, anche delle prime parti; e il tutto è stato accolto calorosamente da una platea praticamente esaurita.
Roberto Brusotti
(Foto: Marcello Orselli)