“Spedisco oggi il primo Atto ben agiustato… Suplico V.E. aver la Bontà di farmi avisato se più si diletta di Mandolino…”. Una lettera di Vivaldi, datata 26 dicembre 1736 e diretta al marchese Guido Bentivoglio, rispunta nell’archivio dell’Accademica Filarmonica di Bologna, gloriosa istituzione fondata nel 1666 e tuttora attiva come associazione privata che una legge del 1939 dichiarò “di rilevante interesse nazionale”. E te lo credo, con un patrimonio archivistico di oltre 100mila carte, una biblioteca di 30mila titoli, più strumenti musicali, ritratti e cimeli vari.
La notizia parrebbe degna di titoli squillanti, ma è davvero così? Più che di “ritrovamento fortunato”, come si suol dire, si parli di scampato pericolo nel quadro di una politica pubblica che a siffatti giacimenti culturali dedica attenzione avara e discontinua. Alle aste londinesi il pezzo potrebbe spuntare un 30mila sterline, ma stavolta il rischio è stato sventato dal prof. Romano Vettori, docente al Conservatorio “Tartini” di Trieste, musicologo e direttore di coro, che al suo impegno volontario di archivista può dedicare un monte di 12 ore a settimana.
Il suo ufficio, regolato da antiche disposizioni interne, comporta l’obbligo di gestire, vigilare e rendere disponibile agli studiosi un tanto patrimonio storico, nonché di acquisire i contributi degli accademici moderni (un nome per tutti: Stockhausen). Lo sbilancio tra missione e risorse salta all’occhio. Lavorando qui dal 1996, prima come assistente del compianto prof. Giuseppe Vecchi, e poi in solitario dal 2005, Vettori coordina l’attività di schedatori associati in cooperativa e pagati (pochino) per inserire i dati nel Sistema Bibliotecario Nazionale. Ma per valorizzare i ritrovamenti occorre l’occhio del musicologo, e così sono stati identificati un carteggio di Busoni (1882-3), alcuni numeri di un Requiem per Rossini (1868) organizzato dagli accademici bolognesi in concorrenza con quello progettato da Verdi, e tante partiture più antiche che talora trovano la via del recupero esecutivo e discografico.
Stavolta il problema non si pone. Il documento era noto, trascritto, facsimilato e analizzato a partire da Colombani (1881) e La Mara (1886) per continuare con Vatielli (1938), Rinaldi (1943), e nel dopoguerra con Giazotto (1965) e Cavicchi (1967). Si può tracciarne la vicenda fin da quando il canonico ferrarese Giuseppe Antonelli (1803-1884) saccheggiò l’archivio privato dei marchesi Bentivoglio d’Aragona, di cui era custode, commerciando o scambiando i pezzi pregiati con altri eruditi del tempo. Amorosi furti mossi dal feticismo o da uno scientismo positivista volto a scrutare nella grafologia i segni del Genio. Buon ultimo l’abate lucchese Masseangelo Masseangeli (1809-1878), che per testamento lasciò la propria collezione alla Filarmonica. Dispersa in guerra? No, giaceva qui impacchettata finché il prof. Vettori non ha aperto i sigilli qualche giorno fa, e almeno per questa volta i battitori delle aste di Christie’s, Sotheby’s e affini resteranno a bocca asciutta.
Carlo Vitali
(tratto da MUSICA 205, aprile 2019: “La Polemica”)