COUPERIN dal Second livre de pièces de clavecin: Huitième ordre BACH Ouverture nach Französicher Art BWV 831 clavicembalo Christophe Rousset
Milano, Chiesa di San Bernardino alle Monache, 28 luglio 2020
Il pubblico è di necessità limitato eppure gli applausi scrosciano rumorosi e convinti al termine del recital di Christophe Rousset, il quale ripaga l’entusiasmo degli appassionati con ben tre bis. Una raffinata eleganza, tutta nel segno della pulizia dell’esecuzione e di un sottile controllo delle emozioni, è la cifra stilistica dal clavicembalista francese, tra gli ospiti più attesi del cartellone di Milano Arte Musica, il festival internazionale di musica antica dell’estate milanese giunto quest’anno alla quattordicesima edizione.
Un cartellone costruito in piena emergenza, con concerti in un unico tempo di circa un’ora di durata e quasi tutti replicati due volte, nel tardo pomeriggio e alla sera, per consentire un maggiore afflusso di pubblico (nella nostra occasione sono andati esauriti entrambi i turni); Rousset ha suonato senza compenso e gli spettatori erano tristemente distanziati: la musica dal vivo così non potrà certo andare avanti a lungo, ma almeno riesce a dare il segnale di esistere, un segnale in questo caso molto positivo.
Le due pagine proposte da Rousset si disponevano lungo un unico percorso, quello dello stile del barocco francese, di cui François Couperin fornisce una delle sue più alte consacrazioni e Johann Sebastian Bach una straordinaria rilettura. Era quasi immediato, in questo breve recital, cogliere le differenze tra il mondo aristocratico di Couperin, pieno di sottigliezze espressive e ornamentali, e quello più mosso e vitale di Bach, come se lo stile francese, passando dalla luminosa cornice della corte di Versailles di Luigi XIV e Luigi XV alla Germania centrale di Bach, abbia perduto qualche grado di nobiltà acquistando in cambio la concretezza del movimento e del ritmo.
Tutto era suonato con estrema precisione, anche i passaggi contrappuntistici come la fuga nell’Ouverture che apre l’Ouverture francese di Bach e la spettacolare e solenne Passacaille dell’Ottava suite del Secondo libro di pezzi per clavicembalo di Couperin, eppure tutto, sotto le dita di Rousset, era ritmicamente vivo, in virtù di una ricercata arte della variazione agogica, in un gioco sottile di ritardi e di anticipazioni. Quando la filologia rappresenta il mezzo e non il fine di un’interpretazione i risultati sono emozionanti, perché davanti a noi si dischiude un paesaggio sonoro tanto lontano dalle nostre abitudini moderne quanto autentico non solo nella sua “verità” stilistica, presunto che esista una “verità” stilistica, ma anche e soprattutto nella sua verità espressiva.
In questo senso l’acustica della piccola Chiesa di San Bernardino alle Monache, un’acustica perfetta per il volume sonoro ed il timbro di un clavicembalo, aiutava molto, anche se il merito maggiore era naturalmente di Rousset e della sua capacità di far parlare lo strumento, rinunciando alla teatralità della brillantezza virtuosistica in favore di una minuziosa ricerca sui dettagli espressivi. La Suite di Couperin era un campionario di umori diversi, dalla “gravitas” della Sarabanda all’aristocratico distacco della Gavotte, dalle iridescenze ritmiche della prima Allemanda alla mobilità delle due gighe. E la Suite francese di Bach è stata un tripudio di vitalità ritmica, sempre composta, però, sempre raffinata.
Luca Segalla