BEETHOVEN/LISZT Sinfonia n. 5 in do op. 67 pianoforte Louis Lortie BEETHOVEN/LISZT Sinfonia n. 6 in FA op. 68 pianoforte Luigi Carroccia BEETHOVEN/LISZT Sinfonia n. 9 in re op. 125 pianoforte Maurizio Baglini
Tremezzina, Villa Carlotta, 19 agosto 2020
Beethoven e il Covid-19. Nel bene e nel male questa estate LacMus ha dovuto fare i conti con entrambi. Se la pandemia ha costretto allo spostamento del Festival da luglio ad agosto e al contingentamento del pubblico, l’anniversario beethoveniano ha fornito al cartellone una traccia da seguire. La giornata inaugurale del Festival sul Lago di Como creato nel 2017 dal pianista Louis Lortie e dal direttore d’orchestra Paolo Bressan è stata infatti tutta nel segno del compositore di Bonn, con una maratona pianistica all’aperto a Villa Carlotta, in tre momenti, dedicata a cinque delle trascrizioni lisztiane per pianoforte delle nove sinfonie (due al mattino — Prima e Terza — e tre alla sera); protagonisti degli ultimi due concerti sono stati lo stesso Louis Lortie e il suo giovane allievo alla Queen Elisabeth Music Chapel Luigi Carroccia, oltre a Maurizio Baglini.
Antico e moderno si sono curiosamente mescolati, con una cornice dal fascino aristocratico ed il pubblico diviso in due gruppi che alternavano l’ascolto diretto sulle sedie davanti al pianoforte all’ascolto attraverso le cuffie Wi-Fi passeggiando per il vasto giardino della Villa con vista sul Lago e sulle montagne del Lecchese. Trascrivendo le sinfonie di Beethoven, Liszt tenta l’impresa titanica di far rivivere sul pianoforte lo spirito dell’originale, senza preoccuparsi troppo di esibire un virtuosismo che pure è inevitabilmente altissimo, in una sorta di sfida faustiana all’assoluto nella quale un virtuoso puro può soltanto fallire – e infatti i virtuosi puri non le affrontano. Non fallisce, invece, un grande musicista come Louis Lortie, tra i più autorevoli interpreti di Liszt delle scene attuali, capace di dare vita al dramma della Quinta sinfonia in un’esecuzione intensa e lampeggiante di colori, in cui il virtuosismo stesso – penso al diluvio di ottave alla fine del primo movimento – si faceva musica e dramma nella sua incandescenza. Aiutato anche da un’acustica incredibilmente precisa e morbida per una sede all’aperto (dietro al pianoforte, però, la facciata posteriore della villa faceva da cassa di risonanza naturale), fin dalle prime battute Lortie ha dato vita a un paesaggio sonoro straordinario nella sua complessità e nella sua varietà timbrica, attraverso un controllo della tastiera mostruoso (e nulla conta se c’era qualche nota sbagliata, perché in queste trascrizioni la perfezione è impossibile, a meno di non limitarsi a un’esecuzione anodina), un grande volume di suono ed una paletta dinamica molto estesa, dal pianissimo al fortissimo, accanto ad un senso del ritmo che gli permetteva di cogliere l’intero arco drammatico della sinfonia senza la minima caduta di tensione. Oltre al vigore delle ottave, al calore del tema dell’Andante con moto, alla precisione del fugato del terzo movimento, alle magie timbriche della transizione tra terzo e quarto movimento – e gli esempi potrebbero continuare – era proprio la dimensione ritmica (l’incedere senza fretta eppure ineluttabile, le pause e le attese perfettamente bilanciate), a rendere emozionante questa interpretazione della Quinta.
Luigi Carroccia non è certo Lortie, eppure la sua interpretazione della Sesta sinfonia, che noi abbiamo ascoltato in cuffia, si è rivelata di una preziosità rara, nel segno della trasparenza timbrica e della leggerezza più che del vigore del suono e del ritmo (infatti il Temporale non era particolarmente incisivo); ogni dettaglio era molto curato e soprattutto il fraseggio era ben condotto, cosa non così scontata quando si parla di giovani interpreti.
Infine Maurizio Baglini, un pianista molto diverso da Lortie. Il suo tocco è più leggero, il suono non ha la pienezza orchestrale del suono del collega canadese, il fraseggio tende ad essere nervoso, la musica con lui si anima di improvvisi guizzi e la sua Nona è risultata quindi enigmatica, perfino spiazzante nella rinuncia ad una dimensione prettamente eroica. Baglini esegue da molti anni in pubblico la trascrizione lisztiana della Nona, oltre ad averla registrata, e negli anni la sua interpretazione è cambiata. A Tremezzina abbiamo ascoltato una Nona sinfonia piena di chiaroscuri, come se il pianista pisano avesse deciso di moderare la sua incandescenza sonora e i suoi slanci vitalistici, soprattutto nel lungo finale con l’“Inno alla gioia”, per lavorare più sui dettagli, sulle sfumature del timbro e del fraseggio. Bastavano a dimostralo la lentezza quasi teatrale dei ribattuti nel primo movimento, la trasparenza del trio del secondo movimento, il canto dolcissimo dell’Adagio molto e cantabile, le iridescenze timbriche della variazione «alla turca» dell’“Inno alla gioia”. Bastava, soprattutto, un fraseggio sorprendente nelle sue continue oscillazioni e nelle sue continue accelerazioni, una mutabilità che già caratterizzava le interpretazioni di Baglini di qualche anno fa ma che adesso si è accentuata: un fraseggio pianistico e non orchestrale, perché cercare la continuità e la fluidità dell’eloquio orchestrale in questa trascrizione, in particolare nelle lunghe campate melodiche del primo movimento, rischierebbe di portare il discorso allo stallo. Trovare però le giuste variazioni agogiche senza cadere nel rischio opposto, la frammentazione del discorso, è un’operazione complessa, fatta di equilibri sottili, per la quale ci vuole un pianista di rara sensibilità e grande esperienza.
Luca Segalla
(foto: Daniele Marucci – comcept.com)