COLASANTI Arianna, Fedra e Didone. Tre monodrammi per attrice, coro femminile e orchestra. Testo tratto dalle Epistulae Heroidum di Ovidio. Adattamento e traduzione di René de Ceccatty voce recitante Isabella Ferrari International Opera Choir, Orchestra Giovanile Italiana, direttore Roberto Abbado
Spoleto, Piazza Duomo, 22 agosto 2020
Ogni festival internazionale – con l’eccezione di quelli monografici – dovrebbe eseguire musica contemporanea e auspicabilmente commissionarne. Questa estate, anche a ragione delle implicazioni del lockdown e delle incertezze se i festival si sarebbero potuti effettivamente tenere, si ascolta musica contemporanea unicamente all’International Festival and Summer Academy a Siena ed a Spoleto, dove è stata eseguita la prima mondiale di una composizione, commissionata dal Festival dei Due Mondi ad una delle più interessanti compositrici italiane della giovane generazione: Silvia Colasanti. I tre monodrammi Arianna, Fedra e Didone, di circa venti minuti ciascuno (da rappresentarsi senza intervalli per uno spettacolo di circa un’ora), sono il terzo ed ultimo lavoro di un trittico. I primi due — Minotauro e Proserpine — sono stati rappresentati con successo al Teatro Nuovo Giancarlo Menotti rispettivamente nel 2018 e nel 2019. A differenza delle prime due opere della trilogia, molto teatrali e caratterizzate da una forte caratura drammatica e da una partitura come un ricamo elegante con una sapiente orchestrazione e ben bilanciata scrittura vocale, la struttura di questi tre monodrammi è, in gran misura, la conseguenza di dovere essere rappresentati non in un teatro ma in una grande piazza, dove l’azione scenica è necessariamente limitata.
Lasciamo parlare la compositrice:
È l’amore il protagonista del terzo lavoro di teatro musicale ispirato al Mito classico e da me composto dopo Minotauro e Proserpine, nato anch’esso grazie alla “commissione” di Giorgio Ferrara per il Festival di Spoleto: Arianna, Fedra, Didone, tre monodrammi per attrice, coro femminile e orchestra. Lettere immaginarie d’amore, di lontananza, di morte, improntate al tema dell’assenza dell’amato, caratterizzate dal tono nostalgico per un passato felice e dal disperato desiderio di riviverlo. Lettere strazianti e struggenti, ricche di passione e di dolcezza che ripercorrono le diverse vicende sentimentali mostrandole non più dalla prospettiva dell’eroe, debole nel suo rifiuto, ma della donna abbandonata, che diventa la vera eroina. Arianna scrive a Teseo appena sveglia, accorgendosi che lui l’ha abbandonata fuggendo in mare.
Fedra, innamorata del figliastro Ippolito, scrive una lettera seduttiva per indurlo a cedere ad un amore impossibile e incestuoso.
Didone, sentendo l’ineluttabilità del suo destino di morte, scrive ad Enea in un ultimo tentativo di farlo tornare.
L’attrice interpreta le tre donne, ciascuna con una storia e un carattere a sé stante, tracciando però al tempo stesso un meraviglioso affresco dell’universo femminile. In alcuni casi la voce della protagonista è affidata ad un Coro di donne – che canta il testo originale in latino – nel quale l’attrice può specchiarsi, guardandosi dall’esterno, indagando le sue diverse anime, o amplificando i ricordi passati rendendoli reali e vicini.
Le parole dialogano o si fondono con i suoni dell’orchestra, che a tratti preannuncia, a tratti sottolinea, i diversi stati d’animo che si succedono e si sovrappongono in questo flusso di pensieri che racconta in modo eterno e universale l’Amore.
Questo testo spiega meglio di ogni sunto il senso del lavoro. I protagonisti sono tre: l’attrice Isabella Ferrari in uno sgargiante abito rosa di Valentino, una grande orchestra sinfonica ed un coro femminile di medie dimensioni.
In termini generali, il lavoro è meno simile alle opere di teatro in musica della Colasanti (che hanno una struttura quasi britteniana) e ricorda il Requiem (per le vittime del terremoto) che, commissionato dal Festival dei Due Mondi, ha debuttato a Spoleto nel 2017 e si è ascoltato anche in altre città (e di cui esiste un CD ed un DVD). La musica è tonale e sembra evocare lo stile di Arthur Honegger (ieri) e Jake Heggie (oggi) nonché, nella sezione relativa a Fedra, certo espressionismo straussiano. Molto curata l’orchestrazione; nonostante l’esecuzione all’aperto (che non consente di assaporare bene tutti i dettagli), i violoncelli ed i fiati hanno avuto un ruolo importante nel sottolineare il colore scuro di tre brevi monodrammi imperniati sulla disperazione di donne abbandonate. Grande successo di pubblico in una piazza sold out anche a ragione del distanziamento che limitava il pubblico a circa 600 spettatori.
Giuseppe Pennisi