STRADELLA Il Trespolo tutore M. Bussi, R. Milanesi, C. Vistoli, J. Sancho, S. Frigato, P.V. Molinari; Orchestra del Teatro Carlo Felice, direttore Andrea De Carlo regìa Paolo Gavazzeni e Piero Maranghi scene Leila Fteita costumi Nicoletta Ceccolini
Genova, Teatro Carlo Felice, 1° ottobre 2020
Alessandro Stradella riposa a poche centinaia di metri dal Teatro Carlo Felice, nella Basilica di Santa Maria delle Vigne: fu infatti a Genova che venne a terminare una vita errabonda e avventurosa, segnata da intrighi e trame amorose che causarono probabilmente anche la sua uccisione, in Piazza Banchi, il 25 febbraio del 1682. A Genova era giunto quattro anni prima, in fuga da Torino dove già era sopravvissuto all’agguato di due sicari; nella Superba, al tramonto ancor dorato del suo periodo di maggior splendore (simbolicamente concluso dal bombardamento dei francesi del 1684), il compositore fu subito accolto benissimo, tanto che gli venne affidata quella che oggi si chiamerebbe la direzione artistica del Teatro del Falcone, uno dei primi teatri pubblici italiani. Qui mise in scena tra gli altri Il Trespolo tutore (31 gennaio 1679), considerata dagli specialisti tra le prime opere buffe in assoluto: siamo infatti ancora agli albori del moderno teatro musicale – poniamo mente al fatto che dall’Incoronazione di Poppea di Monteverdi la dividono in fondo solo trentasei anni.
Ripresa ancora a Modena nel 1686, l’opera è in seguito completamente scomparsa dai palcoscenici: quella allestita a Genova per inaugurare la stagione autunnale del Teatro Carlo Felice (che prevede in seguito, tra i titoli operistici, Die lustige Witwe e Pagliacci) è stata la prima rappresentazione in forma scenica dell’epoca moderna in Italia; ne era stata offerta una versione in forma di concerto in occasione del Festival Stradella edizione 2019, mentre si può trovare in DVD la testimonianza di un recente allestimento polacco. Si tratta quindi di uno dei classici casi in cui i problemi si trasformano in una preziosa opportunità: ovunque nel mondo la necessità di mantenere un distanziamento prudenziale tra gli orchestrali e in palcoscenico sta infatti inducendo a rivolgere maggiore attenzione al repertorio antico e barocco, a causa degli organici contenuti che esso prevede; e il teatro genovese dal canto suo ha colto l’occasione per riaprire il sipario dopo l’emergenza coronavirus con una rarità, che tuttavia fa indubbiamente parte della storia del melodramma cittadino (e non solo). Un passo importante per l’approfondimento di un grande autore noto soprattutto, ahimè, sui volumi di storia della musica; nonché di un’epoca del melodramma che nella concretezza del palcoscenico rimane ancora conosciuta solo per sommi capi.
I secoli trascorsi dalla creazione dell’opera rendono necessaria una spiegazione già per il suo curioso titolo: Trespolo infatti (che nell’italiano di allora, e forse in qualche contesto locale odierno, significa qualcosa come «arnese fuori uso») era all’epoca un personaggio reso popolare da alcune commedie di Giovanni Battista Ricciardi, ripreso anche da alcuni imitatori. Si videro dunque in quegli anni un Trespolo oste, un Trespolo barbiere, un Trespolo podestà e così via. Nella nostra fattispecie viene invertito il rapporto tutore-pupilla che ben conosciamo dal Barbiere di Siviglia: qui è la giovane Artemisia ad essere innamorata del suo tutore, il quale però non solo non la ricambia, ma non si avvede per nulla dei sentimenti della fanciulla; egli è invaghito invece di Despina, servetta dei fratelli Nino e Ciro. Di questi, il primo è innamorato a sua volta di Artemisia, e impazzisce per il dolore di non esser corrisposto; il secondo è invece pazzo, ma rinsavisce per amore della protagonista. La buffa balordaggine di Trespolo, la malinconia amorosa di Artemisia e di Nino, la diversa follia dei due fratelli, la scaltrezza di Despina e della madre Simona (affidata a un tenore, come spesso avveniva per i ruoli di balia) offrono a Stradella una gran varietà di affetti, a cui egli dà voce magistralmente, con una scrittura capace di traslare con estrema fluidità da un recitativo mosso e assai eloquente ad ariosi a volte assai compatti, ad arie più strutturate, a qualche duetto e addirittura a scene complesse e articolate, in primis le due notevoli scene di follia di Nino; la seconda delle quali comprende un cantabile («Fa’ la nanna, Nino mio») da levare il fiato.
Amore è veleno, e medicina degl’intelletti è il titolo della commedia originale di Ricciardi; e la capacità della passione di far perdere o ritrovare il senno è senz’altro uno dei temi portanti del Trespolo tutore. La messinscena genovese ha posto al centro proprio la vicenda dei due fratelli, tanto che la prima delle due parti in cui sono stati suddivisi i tre atti originali termina con un duetto tra Ciro e Nino in cui questi si «passano» la follia. Lo stesso Ciro esprime bene il dualismo della questione quando, rinsavito, afferma dapprima, in un’aria del terzo atto: «È amor nel nostro seno / medicina dell’alme, e non veleno»; per poi tuttavia correggere il tiro, suggellando così l’opera, addolorato per la follia di Nino: «Dunque Amore ogni core, ogni gran mente / può far pazzo, e far prudente. / Ed ha per destino un cieco bambino / di togliere e di dar la libertà. Grand’infelicità!». L’ambientazione dell’allestimento nel contesto cinematografico degli anni Trenta del Novecento ha offerto — in un impianto scenografico piuttosto essenziale — alcuni buoni spunti spettacolari: memorabile ad esempio l’apparizione di Artemisia nell’aria di sortita, tra piume di struzzo e fumi scenografici. La sua reincarnazione in una Diva del film muto rispecchiava il fascino del personaggio, che tranne il protagonista fa innamorare tutti, persino Simona; meno credibile però risultava in tali panni la ritrosia del personaggio, aspetto fondamentale perché proprio l’incapacità a dichiararsi esplicitamente al tutore genera gli infiniti equivoci che costituiscono il motore della vicenda. Forse era possibile poi caratterizzare in maniera più approfondita la notevole trasformazione di Ciro, dal puro nonsense alla lucidità totale, che lo conduce alla fine a ottenere il cuore di Artemisia; ma l’ambientazione tendeva un po’ in generale a smorzare i toni, compresi i tanti doppi sensi presenti nel libretto di Giovanni Cosimo Villifranchi, che tanto scandalizzarono, a quanto pare, i genovesi dell’epoca. Tra gli interpreti spiccavano l’elegante Nino del controtenore Carlo Vistoli, vocalmente ragguardevole, il Ciro vivace e limpido di Silvia Frigato, il Trespolo stralunato ma non troppo caricato di Marco Bussi. Ma il pubblico ha tributato l’applauso più caloroso e significativo ai dieci componenti dell’orchestra, qui armati di strumenti antichi: segno evidente dell’empatia con cui la città sta vivendo il momento difficile del suo Teatro, e in generale di tutto il mondo della musica e dello spettacolo.
Roberto Brusotti
Foto: Marcello Orselli