MAHLER Sinfonia n. 1 Orchestra del Teatro La Fenice, direttore Myung-whun Chung
Venezia, Teatro La Fenice 15 maggio 2021
Dopo oltre un anno di pandemia non ancora risolta, la ripresa dei concerti aperti al pubblico anche alla Fenice, con la prima sinfonia di Mahler rimessa nelle mani di un grande maestro come Myung-whun Chung, riassume grandi aspettative e speranze, significati unici in questo delicato e sofferente periodo storico per tutto il mondo. Una pagina emblematica, non solo per il suo presentare ex abrupto quell’arduo percorso per aspera ad astra che caratterizzerà il mondo musicale mahleriano, ma anche per riproporne l’estrema attualità dei contenuti: per quale tipo di pubblico scriveva Mahler? Qual è il ruolo dell’artista nella società? La musica ha sempre bisogno di un bel suono per comunicare se stessa? All’universo mahleriano sembra ormai appartenere l’animo di Chung, che ha affrontato in poche settimane la Seconda (5 maggio) e la Nona sinfonia (9 maggio) a Firenze, quindi la Prima a Venezia (rigorosamente a memoria).
Le molteplici sollecitazioni dal mondo reale che animano il primo movimento, così tipiche e stranianti in Mahler, si susseguono in un’asciutta poetica del frammento per il maestro coreano, che gli contrappone il calore contemplativo dei passaggi cantabili agli archi, come appartenesse a un’altra dimensione, e che l’Orchestra della Fenice dispiega con un corpo timbrico raramente tanto denso. Se nel secondo movimento insiste sull’incedere grottesco, scegliendo tempi più distesi che enfatizzano l’elemento popolare in una pronuncia e un’articolazione quasi esasperate, con sottigliezza disarmante Chung sa insinuarsi nelle lacerazioni della coscienza della marcia funebre, fino alla tensione commossa dei momenti più lirici e poetici.
Soprattutto nel finale manifesta un pensiero mahleriano coerente a una visione recente (si pensi alle letture di Abbado a Lucerna), in cui predomina un atteggiamento più riflessivo e coerente per Mahler, meno incline a un’esasperazione di un sinfonismo virtuosistico o equivocamente velleitario rispetto a decenni fa. È qui che Chung fa convergere gradualmente tutto l’impianto sinfonico, incorniciandolo in un senso di compiutezza di autentica e totale riconciliazione tra terra e cielo, completando un percorso di ricerca attraverso una forma che si disgrega e ricostituisce di continuo e che anche nell’enfasi tesa del tutti orchestrale pone ancora continui interrogativi. Purtroppo, tanto distanziamento per le misure anti covid non può certo giovare all’orchestra: troppo lontani corni e violoncelli, faticoso mantenere l’assieme in alcuni passaggi specie in pagine così complesse. Eppure il risultato tocca ugualmente momenti di eccellenza, fra lunghi applausi e ovazioni. Cosa porteremo questa volta a casa, dentro di noi, dopo l’ascolto di un capolavoro giovanile ancora così moderno? Ormai il carisma di Chung riscopre sempre un viaggio interiore, che in Mahler sembra trovare una pace universale nell’incontrare l’anima di una visione unitaria, e che affonda la propria logica nella riflessione profonda sul gesto sonoro, formale, timbrico, piccolo o grande, ma allo stesso tempo trova la propria forza nell’ammonimento di quanto Adorno evidenziava con penetrante perspicacia sulla comunicazione mahleriana: “Mahler aizza all’ira chi è complice del mondo così com’è ricordando ciò che costoro devono scacciare fuori da se stessi”.
Mirko Schipilliti