CASELLA Suite da La giara op. 41 bis BEETHOVEN Sinfonia in MI bemolle n. 3 op. 55 «Eroica» tenore Dave Monaco Filarmonica Arturo Toscanini, direttore Enrico Onofri
Parma, Piazza Duomo, 17 giugno 2021
Vedere la Toscanini schierata sul sagrato del Duomo con il pubblico in piazza, sia pure distanziato, e percepire nelle strade il risveglio di una città, dopo il silenzio e il vuoto del lockdown, ci ha messo di buon umore. “Capitale italiana della cultura” per il 2021 (sarebbe dovuto essere per il 2020, ma tutto o quasi è slittato a quest’anno), Parma in queste settimane è piuttosto vivace e lo dimostra anche con l’edizione zero del “Festival Toscanini” della Filarmonica Arturo Toscanini.
Sul podio del concerto del 17 giugno – un unico tempo senza intervallo, come di questi tempi è consuetudine – c’era il nuovo direttore stabile, il cinquantaquattrenne Enrico Onofri. Violinista barocco di prim’ordine e direttore con una grande esperienza nel repertorio sei e settecentesco, da qualche anno Onofri si sta mettendo in gioco in un repertorio per lui relativamente nuovo. La sua nomina può essere un’occasione per la Toscanini non soltanto per approfondire il repertorio barocco ma anche e soprattutto per rileggere da una diversa prospettiva il grande repertorio classico-romantico: il concerto in piazza Duomo con la Terza sinfonia di Beethoven è stato anche una sorta di banco di prova, il concerto-pilota di una nuova avventura artistica.
Diciamolo subito. La Toscanini non ha le carte perfettamente in regola per affrontare l’“Eroica” in modo davvero convincente, dall’amalgama degli archi alla brillantezza e incisività degli ottoni. Eppure l’impressione all’ascolto è stata di una grande freschezza esecutiva, nel segno di tempi rapidi e mossi e di un cantabile di buona fattura. Onofri ha rinunciato a una lettura monumentale, privilegiando la scorrevolezza del fraseggio e la trasparenza del suono, perché la musica deve prima di tutto respirare. È un approccio che deriva chiaramente dalla sua esperienza nel repertorio barocco e che applicato a Beethoven se da un lato può essere spiazzante dall’altro permette di guardare all’“Eroica” da una nuova prospettiva. Penso alla naturalezza del dialogo tra i fiati e alla chiarezza del disegno contrappuntistico nel fugato della Marcia funebre, agli scatti agili e nervosi dello Scherzo, penso soprattutto al celebre esordio della Sinfonia, affrontato senza indugiare troppo sul semitono discendente che chiude la prima frase e che rappresenta uno degli elementi strutturali chiave dell’intera sinfonia, perché la musica deve arrivare morbida e trasparente alle orecchie del pubblico. Anche se la Piazza è molto vasta, la facciata del Duomo alle spalle dell’orchestra funge da cassa armonica e l’acustica è sorprendentemente morbida, di modo che si possono percepire anche i piani ed i pianissimi. I tempi spediti scelti dal direttore ravennate, però, a volte hanno messo in difficoltà una Toscanini non sempre pulita negli attacchi e un po’ in affanno, soprattutto in un movimento conclusivo gioiosamente danzante, comunque suggestivo nei momenti cantabili.
Proprio la cantabilità è uno dei tratti distintivi della Suite dal balletto La giara di Alfredo Casella, la piacevole rarità scelta come introduzione all’“Eroica”. Siamo nel 1924 e l’estetica del Neoclassicismo stravinskiano si impone in tutta Europa come un modello, però Casella non è Stravinski e con lui le spigolosità del Russo si ammorbidiscono in un’invenzione melodica tutta italiana, unita ad una fascinazione timbrica di ascendenza francese. Tra folklore vero (la canzone “Storia della fanciulla rapita dai pirati”, affidata a una voce tenorile) e folklore reinventato alla maniera di De Falla e di Ravel (il chiovù, una danza siciliana simile alla tarantella) affiorano anche echi della tradizione operistica del Verismo, di Cavalleria rusticana soprattutto, ma anche del Puccini più moderno del Tabarro nella breve introduzione alla citata canzone, con i suoi inquietanti e ruvidi impasti timbrici.
Tutto questo è emerso bene nell’esecuzione agile e mossa di Onofri e della Toscanini, lontana in ogni caso da eccessi di brillantezza, perché il direttore ravennate ha puntato a mettere in luce soprattutto la qualità dell’invenzione melodica di Casella, così come il tenore Dave Monaco ha reso con efficacia la nostalgia della “Storia della fanciulla rapita dai pirati”.
Luca Segalla