Dopo 13 anni termina l’era Ferrara al festival dei Due Mondi di Spoleto, primo direttore artistico non della famiglia Menotti, il cui patriarca Gian Carlo, lo aveva fondato nel 1958 e tenuto saldamente il timone fino alla morte (2007). Ora si avvicenda Monique Veaute, francese naturalizzata italiana che unisce con quel gusto tutto d’oltralpe tradizione e modernità come racconta con l’entusiasmo di chi vuole fare. Sulla carta i numeri ci sono tutti per la rinascita di quello che fu a lungo “il” festival da non mancare per il bel mondo ed intellettuali.
Monique Veaute arriva al Festival dei Due Mondi di Spoleto dopo Romaeropa Festival e il Festival d’Automne di Parigi, passando per la direzione di Palazzo Grassi, fiore all’occhiello delle collezioni di Pinault. Come è nata questa candidatura?
Non mi sono candidata ma è stata un’offerta del Ministro Franceschini e del Sindaco di Spoleto che volevano un cambiamento. L’ho considerato un grande onore visto il posto speciale che ha avuto il festival nella storia della cultura Italiana.
Quale sarà la cifra del festival secondo Monique Venute dopo la direzione di Ferrara, che ha un po’ deviato da quella che era l’idea menottiana di un festival di tutte le arti?
Trovo spesso troppo negativo il giudizio sulla direzione artistica di Ferrara. In tutti i festival ci sono delle fasi, e sono legate alla direzione artistica. Menotti, che l’ha creato, era un compositore, dunque la cifra artistica era molto alta e molto legata alla musica. Quando Menotti fondò il festival aveva due istanze molto forti. Una legata alla sua vita: la musica. L’altra, l’internazionalità. Quando Ferrara è stato chiamato dagli Amici del Festival, aveva un forte background legato al teatro. E verso questo ha sterzato.
Per quel che mi riguarda, la musica è il mio elemento: con questa ho iniziato la mia carriera di operatore culturale ai tempi di Radio France. Arrivata a Villa Medici, ho fatto un cambiamento: mi sono molto interessata alla danza, un mondo comunque molto legato alla musica. A Spoleto, per molti sarà un ritorno alle origini perché ho messo la mia direzione artistica sotto l’ombrello del rispetto. Gian Carlo Menotti ha avuto una grande intuizione: scegliere una piccola città da invadere con gli eventi del festival. Tutti gli spazi (piazze, chiostri, chiese, piccoli teatri…) ’addormentati’ sembrava non aspettassero altro! La città diventava un immenso palcoscenico durante il festival. Mi piacerebbe ritrovare quello spirito, anche se probabilmente i tempi sono cambiati. Quello che faceva Menotti era figlio del suo tempo. Oggi accanto alla musica classica non può mancare la musica elettronica. Il jazz, la musica pop…. la mia idea è di aprire a tutte le forme di musica. Ritengo che questo sia al tempo stesso nel senso della continuità del festival ed una novità.
Poi c’è l’opera, che ha avuto un ruolo molto importante nel festival ma, nota dolente, ha elevati costi…
Per me, l’opera è sempre stata un sogno. Finalmente potrò programmare delle produzioni importanti. Molto costose. Inoltre, con due eccellenti orchestre in residence (Orchestra Nazionale di Santa Cecilia con il Maestro Antonio Pappano e Orchestra del Festival di Budapest di Ivan Fischer) potrò avere avere direttori di vaglia e cast eccellenti. Anche questo anno avrei voluto fare un’opera ma il Covid me lo ha impedito: come conciliare distanziamento, coro, orchestra e cantanti sotto uno stesso tetto?
Opere di quale repertorio?
Anche qui, non vorrei avere limiti! Pelléas et Mélisande mi piace moltissimo. Credo che la faremo tra due anni. Nell’ambito del repertorio operistico mi muovo su due binari. Da un lato, titolo o compositore che mi piacerebbe presentare. Debussy, per esempio. Dall’altro, l’opera barocca che ha poche occasioni di essere rappresentata in Italia benché sia il luogo dove l’opera nacque. Dunque mi piacerebbe rappresentare un titolo di… Rameau? Non so ancora bene quale compositore sceglierò. Poi parallelamente i miei interessi vanno agli esecutori, agli interpreti. Per esempio, con Barbara Hannigan mi piacerebbe fare un percorso. Infatti abbiamo dei progetti tra opera e teatro musicale. Per me, opera e teatro musicale hanno un’attinenza molto forte: corrispondono ai formati per Spoleto. Poi c’è la questione del regista. Considero Castellucci uno dei più interessanti registi per le sue riletture delle opere.
Menotti aveva concepito il festival come un rosario si eventi che si snocciolavano con continuità a partire dal Concerto di Mezzogiorno all’Ora Mistica a mezzanotte, permettendo al pubblico di passare in una soluzione di continuità da uno spettacolo al successivo…
Il Concerto di Mezzogiorno ci sarà. In un certo senso ho seguito il format che fu di Menotti. Quindi l’idea del Concerto di Mezzogiorno mi piace moltissimo! Mi sono permessa una postilla: alle 11.30 il pubblico incontrerà l’artista del giorno, che può essere un musicista, un direttore d’orchestra o il regista. Dunque a Santa Eufemia il Concerto di Mezzogiorno. A seguire concerti, programmi di danza… Un’altra novità è che faccio un grande concerto orchestrale di apertura in Piazza e, poi, il concerto di chiusura come da tradizione.
Anche lei programmerà un concerto finale con programmi indigesti come faceva con sottile perfidia Menotti per épater le bourgeois nel pubblico presenzialista?
No, no…
Menotti, ad un certo punto, sentì che il musicista doveva scendere dalla torre di avorio della musica per essere utile alla società, secondo il concetto di Gramsci di intellettuale integrato. Quindi volle portare il festival a Spoleto, cittadina bellissima ma un po’ addormentata, anche con l’intento di portare ricchezza e benessere alla città. Oggi il mondo è cambiato, ma il festival è ancora un magnete turistico?
Assolutamente sì! I festival sono stati creati per questo, anche se non è l’unico scopo. Infatti si attira un pubblico che viene per vedere e per sentire aumentando la ricchezza locale; e se non si fanno spettacoli di puro intrattenimento anche la crescita culturale ci guadagna.
Un altro profondo cambiamento è la durata della presenza del pubblico. Se all’inizio, anche per la difficoltà di arrivare a Spoleto, il pubblico si tratteneva per tutta la durata del festival, oggi, con la maggiore facilità degli spostamenti, prevale un pubblico ‘mordi e fuggi’.
Per il momento il festival è un festival del… fine settimana perché così è stato negli ultimi anni. Però ci sono le prove delle orchestre, quindi la città è ‘invasa’ dagli artisti. Ma voglio cambiare a poco a poco e fare come in altri festival, nei quali la programmazione prevede spettacoli tutti i giorni. Inoltre credo che il turismo ‘mordi e fuggi’ sia più legato al turismo interno. Non si deve dimenticare che Toscana, Umbria, Marche accolgono tantissimi stranieri che, non so perché, il festival non è più riuscito a calamitare in questi ultimi anni.
Il festival di Menotti era il festival delle arti tutte: anche la scienza trovava albergo. E nel Festival di Monique Veaute?
Menotti era open mind a 360 gradi. Il programma Spoleto Scienza è gestito dalla fondazione Carla Fendi che ha sviluppato un programma su Arte e Scienza.
Ci saranno mostre di arte?
Tante! Di diverso genere. Sono molto felice di avere un artista come Penone per l’arte contemporanea. Poi una serie di giovani pittori che espongono in diversi luoghi. Inoltre il Marchese Duccio Marignoli presta opere del XVIII e XIX secolo della sua collezione che saranno esposte al Museo Collicola. Un progetto che mi sta molto a cuore avrà come primo appuntamento una mostra sull’Archivio del Festival curata da Piero Maccarinelli, perché mi sono resa conto che il festival conserva nei suoi depositi un immenso patrimonio di costumi, fondali, scenografie, fotografie… che raccontano 63 anni di festival. Lancio la pietra nello stagno, anche se non è il mio ruolo: vorrei creare le condizioni affinché si realizzi un Museo dell’Effimero: un museo della creatività dell’Italia attraverso l’effimero dello spettacolo dal vivo, grazie a tutto quello che è conservato. Ho già chiesto a Piero Maccarinelli di far uscire un certo numero di pezzi di questa meraviglia. Ci sarà una mostra di costumi, arredi e fotografie che racconterà già una prima parte della storia del Festival. E anche un convegno per raccontare tutti questo.
Franco Soda