BELLINI Norma S. Hernández, A. Stroppa, L. Ganci, C. Saitta, A. Ceron, A. Nadin; Orchestra di Padova e del Veneto, Coro Città di Padova, direttore Tiziano Severini regia e scene Paolo Miccichè costumi Alberto Spiazzi
Padova, Teatro Verdi, 16 ottobre 2015
C’era molta attesa per questa Norma di Paolo Miccichè, regista, scenografo e visual graphic che ha riproposto sul piccolo palcoscenico del teatro Verdi di Padova la sua interpretazione del capolavoro belliniano già messa in scena nel 2005 nel Teatro Carlo Felice di Genova. Facendo leva sulla nota abilità nell’impiego delle nuove tecnologie visive, che per primo ha portato in Italia nel luglio 1999 all’Arena di Verona, e ancor più sulla ormai patologica carenza di mezzi dei teatri italiani, specie quelli di provincia, ha costruito uno spettacolo che si regge unicamente su intriganti, spesso affascinanti, talvolta monotone nella loro ripetitività, proiezioni su fondali sovrapposti. Nessun elemento scenico — solo un tronco divorato dal tempo posato in un lato della scena — solo visioni oniriche di paesaggi lunari, di luoghi primigeni, o più realistiche rovine romane, quando è in scena Pollione, immensi alberi pietrificati, ragnatele di bianchi e neri: tutto molto bello, non c’è che dire, ma alla lunga disorientante. A ciò si aggiunga una regia pressoché inesistente e se ne avrà uno spettacolo purtroppo irrisolto. Come i personaggi che si trovano immersi in questo turbinio di effetti visivi: non c’è passione, non vibra l’amore materno, l’impeto barbarico del «Guerra Guerra!» si appiattisce in ridicole pose guerriere.
Molta era l’aspettativa per il soprano Saioa Hernández, allieva di Monserrat Caballé: la voce ha un timbro gradevole, è ben governata nel registro centrale e grave ma riluttante in quello acuto e impacciata nelle agilità. Viene tuttavia a capo della parte per il carattere che sa imprimere al personaggio belliniano, tratteggiato con un fraseggio interessante e partecipe.
Un Pollione fresco e altisonante era quello delineato dal tenore Luciano Ganci, in possesso di mezzi ragguardevoli ma da raffinare sia nell’intonazione che nello stile. Aspetti invece che hanno fatto apprezzare al meglio l’Adalgisa di Annalisa Stroppa, sicuramente l’elemento di spicco della compagnia: voce dal timbro delicato e pieno, sicura nelle agilità e di buon legato, è riuscita a primeggiare nei duetti con Norma per la piena caratterizzazione del suo personaggio e per le indubbie doti vocali. Il basso rumeno, messinese di adozione, Cristian Saitta, ha cantato la parte di Oroveso eccedendo talvolta in toni tonitruanti, imponendosi tuttavia per il vigore vocale.
Sottotono l’Orchestra di Padova e del Veneto per nulla galvanizzata dalla direzione piatta di Tiziano Severini, apparso più preoccupato di tenere insieme tutte le parti, strumentali, vocali e corali che di proporre una lettura di qualche originalità. Sulla prestazione del coro, diretto da Dino Zambello, è preferibile stendere un velo di pietoso silenzio.
Stefano Pagliantini