“In salotto con Verdi”
MERCADANTE La stella; La primavera VERDI È la vita un mar d’affanni (1844); Stornello (1869); Chi i bei dì m’adduce ancora (1842); Perduta ho la pace (1838) SCHUBERT Gretchen am Sprinnrade, D118; Vedi, quanto adoro, D510 VERDI Romance sans paroles (1844); Valzer in fa maggiore (1859?) ARDITI Valse des belles viennoises BELLINI Sei ariette per camera: Malinconia, ninfa gentile; Vanne, o rosa fortunata Bella Nice, che d’amore; Almen se non poss’io; Per pietà bell’idol mio; Ma rendi pur contento DONIZETTI Lamento per la morte di Bellini; Se a te d’intorno scherza; L’amante spagnuolo LUZZI Ave Maria CHOPIN Mazurca in la minore, op. 68 no. 4 ROSSINI L’invito (Soirées musicales) VERDI “Merci, jeunes amies” (Les Vêpres siciliennes) soprano Lisette Oropesa pianoforte Francesco Izzo
Parma, Teatro Regio, 7 ottobre 2021
L’idea del salotto era quella che attraversava l’esibizione di Lisette Oropesa nell’ambito del Festival Verdi: musica da camera, quindi, pagine d’album, a volte di delicata fattura e talaltra non estranee a un certo impegno virtuosistico (penso allo Schubert “italiano”), ma anche arie d’opera, inserite quando la “temperatura” del salotto si alzava e proseguite con una lunga serie di bis. E tra un’esibizione canora e l’altra, qualche inserto pianistico, fra cui le uniche due pagine composte da Verdi per lo strumento: la fragile Romanza senza parole del 1844 e quel Valzer che diverrà celeberrimo grazie all’orchestrazione di Nino Rota nel Gattopardo di Visconti. Ma qui, purtroppo, va rilevato che essere un eccellente musicologo non garantisce uguale bontà di risultati alla tastiera: e Francesco Izzo ha confermato questo assunto.
Dal canto suo, Lisette Oropesa col passare degli anni, ed una notorietà ormai consolidata, si conferma sempre più non già pirotecnica macchina da canto (sorta di chanteuse à roulades, si sarebbe detto un tempo) ma artista completa e sensibile: fin dalle due arie di Mercadante che aprono la serata, ascoltiamo una voce che brilla per legato e intensità, tutta “avanti” e con uno squillo e una punta che le permettono di farsi udire in teatri grandi e di superare con successo l’ascolto in registrazione (ed è così che abbiamo fruito del concerto). In più — e lo confermano le pagine di Donizetti e Bellini — possiede la lingua del Belcanto, specie nei grandi legati, innervati da microvariazioni dinamiche pur in una apparente fermezza e costanza della linea: se meno singolare è l’escursione verso il clima di Gretchen am Spinnrade, colpisce l’impeto neoclassico, quasi da Medea cherubiniana, con cui si inerpica all’acuto nella conclusione dell’altra pagina schubertiana. Ci sono rarità, in questo programma: ad esempio l’Ave Maria di tal Luigi Luzzi, cui Francesco Izzo ha dedicato una voce nel Dizionario biografico degli italiani, un curioso esempio del fitto sottobosco dei “minori” dell’Ottocento italiano. E dopo un brillante Bolero dei Vespri, giustamente in francese (senza mi sopracuto ma con trilli perfetti: uno degli atouts migliori della Oropesa) è il momento dei bis, appunto nello spirito del salotto. Si parte con Pietà signor, breve e intensa pagina del 1894 di Verdi su testo di Boito, per proseguire tra gli applausi del pubblico con La promessa di Rossini, uno stupendo, liliale e intenso Caro nome e — a furor di popolo — la scena finale del primo atto di Traviata, che Izzo confessa essere eseguita a prima vista. E dal pubblico un anonimo tenore dilettante leva la sua voce per cantare le battute di Alfredo: solo a Parma, evidentemente!
Nicola Cattò
Foto: Roberto Ricci