LEHAR La vedova allegra M.P. Piscitelli, M. Werba, F. Morace, P. Barra, V. Esposito, A. Giovannini, D. Colaianni, E. Peroni; Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo, direttore Alfred Eschwé regia Federico Tiezzi scene Edoardo Sanchi costumi Giovanna Buzzi
Napoli, Teatro San Carlo, 24 gennaio 2016
In questo allestimento della Vedova Allegra al san Carlo di Napoli c’era qualcosa che non tornava: se è vero che l’operetta è puro intrattenimento, e tra le operette questa è la più popolare di tutte; se nel ruolo del titolo si sono viste in passato interpreti di tutti i tipi, dal soprano di nome all’attrice brillante, alla soubrette televisiva, per non parlare dei comprimari, se il pubblico non si aspetta quindi performance da teatro d’opera di élite, ma vuole divertirsi con melodie celebri e dialoghi briosi e leggeri, come mai per questo allestimento c’è voluto un intero atto per scaldare la platea?
Peraltro, questa esecuzione conteneva molte cose pregevoli: la partitura è stata diretta da Alfred Eschwé con garbo, e anche con una punta di malinconia; gli artisti in scena hanno cantato e recitato più che bene; le scene di Edoardo Sanchi erano luminose e piene di colore, come i costumi di Giovanna Buzzi: le coreografie erano piacevoli; la regia, anche se non ha entusiasmato, ha tuttavia lasciato che la vicenda scorresse libera, senza intralci e complicazioni inutili.
Per quanto riguarda le voci, come si diceva, non c’era niente di cui lamentarsi. La coppia di protagonisti, interpretata dal soprano Maria Pia Piscitelli nel ruolo di Hanna Glawari, e dal baritono Markus Werba, conte Danilo Danilovic, erano a loro agio nei rispettivi ruoli, anche quando recitavano volutamente sopra le righe, come stelle del cinema anni ’30, secondo l’adattamento del regista Federico Tiezzi.
Con il resto del cast, la Piscitelli e Werba hanno recitato e cantato con i ritmi e le cadenze concitate di un vaudeville. Hanno mantenuto la barra salda per tutta la performance, sia nei dialoghi che nel canto: il loro duetto nel finale del primo atto è stato molto piacevole, e l’aria del soprano nel secondo atto, “Vilja”, è stata resa con espressione lirica, buona tecnica e ricca musicalità, doti che del resto la Piscitelli non manca mai di esibire. Qui in più aveva una forte carica di autoironia nell’interpretazione ispirata a una diva del cinema musicale degli anni ’30, con una parrucca biondo platino stile Jean Harlow.
Markus Werba è riuscito a mantenere un buon equilibrio tra i due aspetti della personalità del conte Danilo: fatuo senza essere arrogante, romantico ma evitando di essere melenso, il baritono ha cantato in modo brioso, con una voce baritonale piena e brillante.
Il basso Filippo Morace era il barone Mirko Zeta, il più importante tra i ruoli di supporto. Anche se il suo personaggio aveva poco da cantare (ma quando lo faceva, era di ottimo livello), Morace si è mostrato efficace, con la sua recitazione vivace, l’ottima dizione e la voce chiara.
Morace aveva come eccellente spalla comica Peppe Barra, notissimo attore e cantante folk napoletano, che ha recitato nel ruolo di Njegus, il segretario dell’ambasciata del Pontevedro. Barra, che rappresenta un pezzo importante della recente storia del teatro e della musica popolare a Napoli, ha caratterizzato il ruolo con tipica arguzia partenopea, e il pubblico ha accolto ogni sua uscita con risate e applausi.
La trama prevede anche un’altra coppia di amanti, i cui interpreti si sono dimostrati ottimi, sia come attori che come cantanti. Il soprano Valeria Esposito era la civettuola moglie del Barone, Valencienne, e il tenore Andrea Giovannini faceva la parte del suo spasimante, Camille de Rossillon. I due erano ben sintonizzati, e alla fine del secondo atto hanno cantato il duetto “L’amore è nel mio cuore” in maniera eccellente. La Esposito era brillante quando recitava, ma ha anche mostrato un gradevole stile di canto. Giovannini ha dato al ruolo di Rossillon la sua vivacità scenica ed e una ammirevole voce da tenore.
Purtroppo, in certi momenti i cantanti non riuscivano a proiettare la voce pienamente: a ben vedere, a parte qualche scelta registica poco felice, il vero punto dolente della serata è stato l’udibilità delle linee di canto. La sala del San Carlo è leggendaria per la sua acustica, ma stavolta, per qualche motivo, non ha funzionato, e il pubblico ha dovuto adeguare le proprie aspettative alla situazione.
I cantanti in alcuni momenti hanno dovuto fare uno sforzo per attraversare le tessiture orchestrali e farsi sentire, alcuni, come la Esposito, più di altri. Nonostante ciò, l’orchestra ha suonato in modo intelligente e divertente. Anche la compagnia di danza del San Carlo è stata ben impiegata, e alcune delle idee coreografiche, come ad esempio le danze balcaniche erano vere piccole gemme.
Altri personaggi minori meritano di essere menzionati: tra essi il bravissimo Domenico Colaianni, come visconte Cascada ed Enzo Peroni nel ruolo di Raoul de Saint Brioche. Infine il coro del San Carlo è stato, come sempre accade negli ultimi anni, all’altezza delle aspettative.
Lorenzo Fiorito