DONIZETTI L’elisir d’amore Irina Dubrovskaya, Mario Rojas, Francesco Vultaggio, Clemente Antonio Daliotti, Paola Francesca Natale, Giancarlo Latina; Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini, direttore Tiziano Severini regia Antonio Calenda scene e costumi Manuel Giliberti
Catania, Teatro Massimo Bellini, 10 maggio 2022
Prosegue al Teatro Massimo Bellini di Catania il recupero della stagione lirica 2020/21, rinviata a causa del Covid. A curare la regia dell’Elisir d’amore di Donizetti, andata in scena tra l’11 e il 17 maggio scorsi, è stato invitato Antonio Calenda, nome autorevole del teatro di prosa italiano ed attivo, anche se in misura minore, anche in quello operistico. Affermatosi sin dagli esordi con il Teatro Sperimentale Centouno, da lui fondato a Roma nel 1964, fu notato da Paolo Grassi che lo invitò a collaborare con il Piccolo Teatro di Milano. Calenda, che nel corso della sua brillante carriera ha realizzato la regia di oltre 150 spettacoli, si può dire sia di casa in Sicilia Orientale, avendo curato diversi spettacoli classici per l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa. Affrontando un’opera da sempre in repertorio, come l’Elisir, il regista campano è andato alla ricerca di un’identità più consistente rispetto «alla bucolicità astratta dell’opera» e, aggiungiamo noi, al fragile intreccio della vicenda. Traendo spunto da un riferimento, sia pur generico, al vulcano etneo che Dulcamara fa nel secondo atto durante il colloquio con Adina (“hai lambicco ed hai fornello/caldo più d’un Mongibello/per filtrar l’amor che vuoi/per bruciare e incenerire”), Calenda ha pensato di ambientare l’azione non più «in un villaggio nel paese de’ Baschi», come indicato nel libretto, ma a Catania e in un particolare contesto storico, quello della ricostruzione nel secondo dopoguerra: un’epoca difficile che – a suo avviso – richiama i difficili tempi attuali, con le dure minacce di guerra alle porte e con una faticosa uscita dalla lunga crisi epidemica. E poichè in quell’epoca di ripresa della vita di una nazione, la nostra, impoverita e umiliata dai disastri di una guerra perduta, il mezzo di locomozione comune a tutti – nelle città e nelle campagne – fu la bicicletta, ecco che i contadini della campagna catanese vanno al lavoro in bicicletta, mentre sulla sfondo si staglia la sagoma del monte Etna, ridisegnata per l’occasione da Manuel Giliberti, scenografo e costumista dello spettacolo. L’idea che guida il regista individua nella bici «un elemento formale, un supporto antropologico che dà un’identità nuova e più consistente allo spettacolo e ne diviene la connotazione iconografica». Ne consegue che il protagonista maschile, Nemorino, non è un «coltivatore, giovane semplice», ma un meccanico di biciclette con tanto di officina sulla scena, ma pur sempre innamorato di Adina, la protagonista femminile; la quale, non è a sua volta una «ricca e capricciosa fittajola», ma democratizza il suo ruolo e giunge sulla scena in bici, seguita dal coro; anch’esso in sella alle due ruote; sicchè nella scena d’insieme iniziale sembra di essere alla partenza di una tappa del Giro d’Italia [ma, come si può leggere nella nota posta in coda a questa recensione, non si tratta di una mera casualità].
Anche lo spocchioso corteggiatore di Adina, il «sergente di guarnigione» Belcore, e i suoi soldati hanno abbandonato le trsdizionali divise a bande bianche incrociate e sono qui dei gagliardi bersaglieri; ed infine il «medico ambulante», alias il ciarlatano dottor Dulcamara, non si presenta «sopra un carro dorato»: dispensando la sua enfasi ciarliera, giunge sì in piedi a suon di tromba, ma su una moto Ape Piaggio a tre ruote, dotata di eleganti fiancate in legno (il che fa molto vintage); e veste abiti pomposi, che a prima vita non si direbbero però da secondo dopoguerra nazionale. Nel voler «garbatamente sovvertire» – come egli stesso ha affermato – l’ambientazione dell’Elisir, trasferendone i caratteri lirico-drammatici e comici in un contesto del tutto diverso, Calenda si è ispirato ad uno dei capolavori del neorealismo cinematografico italiano, Ladri di biciclette di Vittorio De Sica (1948) e ad un altro grande successo di quegli anni, Pane, amore e fantasia di Luigi Comencini (1953). Questa operazione fuori routine, che «si muove attorno ai due elementi contrastanti e complementari del dramma amoroso e della comicità, che fanno dell’Elisir un capolavoro» può stimolare curiosità ma anche suscitare molti dubbi in un pubblico tradizionalista come quello catanese che – a parte le bici, l’Ape e i bersaglieri – non si aspettava certo di intravedere sul fondale scenico un’immaginaria riproduzione dell’Etna. In realtà la trasposizione del capolavoro donizettiano in tempi moderni rimane discutibile sul piano della pura drammaturgia e ciò in quanto – vecchia ed irrisolta discussione, questa – a guidare l’azione rimane pur sempre un libretto il cui testo fu scritto da Felice Romani con il linguaggio poetico di quasi duecento anni fa, e dunque tra quel che accade sulla scena e quel che viene cantato le discrepanze sono inevitabili; per di più, nel nuovo contesto attualizzato i personaggi non sembrano acquisire quella maggiore consistenza ipotizzata dal regista. A poco è giovata in tal senso la trovata del basso Francesco Vultaggio, peraltro eccellente Dulcamara per la disinvolta presenza scenica e dotato di una vocalità chiara e suadente, che al termine della sua cavatina fa dire al venditore del miracoloso elisir «ma siccome e pur palese / ch’io son nato catanese» invece di «ch’io son nato nel paese», come da libretto (Luca Galli, il Dulcamara del secondo cast, nelle sue recite non ha modificato la frase). Il soprano leggero Irina Dubrovskaya, ha spiegato che la sua particolare familiarità con il repertorio belcantistico è dovuta agli studi con un’insegnante, Valentina Rey, la cui formazione risaliva alla lezione della scuola del celebre baritono romano Antonio Cotogni. La brava cantante siberiana si è mostrata ben padrona del ruolo di Adina, che ha già interpretato in Italia e all’estero, e lo affronta con tecnica sciolta ed un frequente, ma mai artificioso, riscorso ai portamenti; alla sua interpretazione sembra mancare tuttavia qualche scintilla di originalità e di brillantezza. Il tenore Mario Rojas, messicano ma con studi in Nord America, ha interpretato il ruolo di Nemorino con una voce dal timbro caldo e talora debordante, ma poco convincente quanto a maturità espressiva, in particolare nella celebre Furtiva lagrima, che qui canta nella penombra di un anonimo paesaggio lunare. Forse condizionato dalle indicazioni registiche, Rojas non è apparso a suo agio sulla scena: nei dialoghi con Adina, e con Dulcamara, nel contrasto con il rivale in amore, Belcore, il suo personaggio era spesso scomposto nei movimenti e impacciato quando tiene la bottiglia dell’elisir tra le mani, quasi a voler sembrare ancor più semplice di spirito di quanto richieda il personaggio. Clemente Antonio Deliotti è stato un valido Belcore dall’emissione chiara e mai forzata e con una bella presenza scenica, accresciuta dagli inediti abiti da bersagliere con tanto di cappello piumato. Il pubblico, accorso in buon numero a tutte le recite, ha accolto con qualche riserva l’originalità di questo allestimento, riservando comunque sinceri e calorosi applausi ai protagonisti dei due cast (del secondo, facevano parte, oltre al citato Luca Galli/Dulcamara, Manuela Cocuccio/Adina e Giovanni Guagliardo/Belcore). Tiziano Severini ha diretto con gesto esperto l’Orchestra del Bellini ed ha ben figurato, anche nei movimenti sulla scena, il Coro istruito da Luigi Petrozziello. Dopo la pausa estiva, la stagione lirica del teatro catanese riprenderà alla fine di ottobre con un allestimento della Tosca di Puccini.
Dario Miozzi
Il messaggio delle biciclette & L’elisir d’amore
Nei giorni delle recite dell’Elisir d’amore al Bellini di Catania, si sono svolte in Sicilia la quarta e la quinta tappa del Giro d’Italia 2022. La quinta tappa è partita l’11 maggio proprio da Catania, in direzione Messina. La prevista coincidenza del passaggio del Giro dalla città etnea con la rappresentazione dell’opera di Donizetti, nel cui allestimento il regista Calenda ha posto la bicicletta in grande evidenza, ha suggerito al sovrintendente del Bellini, Giovanni Cultrera, di avviare un insolito progetto ciclistico da svolgere in collaborazione permanente con la FIAB (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta). La lungimirante iniziativa, presentata da Cultrera insieme al presidente della sede catanese della FIAB, Marco Oddo (foto), mira a promuovere l’uso della bicicletta nell’ambiente urbano quale mezzo di locomozione non inquinante e anche ad offrire un utile servizio alla città. Le cinquanta biciclette, ciascuna personalizzata con il marchio dell’Ente catanese, non sono state infatti commissionate e acquistate dal Teatro Massimo Bellini solo per l’allestimento dell’Elisir; finite le recite, non rimarranno a prender polvere nei depositi del teatro; ma saranno noleggiate dall’Ente ai turisti, ai cittadini, o a gruppi di studenti per svolgere itinerari culturali nei quartieri (ad esempio i luoghi belliniani), ma anche per salutari passeggiate individuali. (d.m.)