MOZART Così fan tutte Jennifer Davis, Julie Boulianne, Bogdan Volkov, Gordon Bintner, Serena Gamberoni, Lucio Gallo; Orchestra e Coro della Royal Opera House, direttore Julia Jones regia Jan Philipp Gloger scene Ben Baur costumi Karin Jud
Londra, Royal Opera House, 1° luglio 2022
Non era uno spettacolo nuovo, quello ripreso per una manciata di recite nella parte estiva della stagione della ROH: la messinscena di Jan Philipp Gloger, infatti, era nata nel 2016 (sul podio Semyon Bychkov) ed era stata riproposta tre anni dopo, con Stefano Montanari a capo della parte musicale. Ora è Julia Jones a prendere le redini della discreta orchestra londinese (ottimi gli archi, fra il modesto e il calamitoso i fiati, particolarmente i corni nella parte concertante di “Per pietà”), con una concertazione che definirei burocratica: un suono abbastanza smunto, trasparente ma anche anemico, uno stacco di tempi teatralmente efficace ma che non dà mai l’idea di una concezione chiara e definita del Così fan tutte: una commedia amara? Un’opera buffa? Non si sa, e uno dei più grandi capolavori della storia della musica passa in cavalleria, in un certo grigiume sonoro.
Gloger, dal canto suo, un’idea chiarissima dell’opera invece ce l’ha. Il pretesto del travestimento di Ferrando e Guglielmo in “due nobili albanesi” salta definitivamente, al di là di un simpatico andirivieni di mustacchi posticci: durante l’ouverture, al sipario si presentano i sei personaggi per i saluti di rito, quasi che l’opera debba ricominciare da capo per un nuovo “giro”, sempre uguale eppure sempre diverso, e difatti dal palco di proscenio spuntano, con un balzo atletico, quelli che sembravano due spettatori della serata ma si rivelano i “nuovi” Guglielmo e Ferrando. Solo Don Alfonso rimane nelle sue vesti settecentesche, perché è il raisonneur dell’intera vicenda, mentre Despina, una ragazza giovane e sexy, tira le fila della vicenda con una scaltrezza non priva di ironia. Il meccanismo dell’opera, quindi, viene messo a nudo con un continuo gioco di “teatro nel teatro”, visibilissimo nel finale primo, fatto di un’allusiva citazione al giardino dell’Eden e al serpente, o nella scena del giardino del secondo, costruita con un mini teatrino di cartapesta, fatto di quinte scorrevoli e tele dipinte, perché – come diceva Qualcuno – all the world’s a stage. Non ci si annoia un momento, nello spettacolo di Gloger, e anche un certo eccessivo indulgere alla comicità (mai di cattivo gusto, però), che caratterizza il primo atto, a poco a poco e quasi inavvertitamente si carica di ombre sempre più ambigue, cupe, malinconiche, grazie anche ad un perfetto uso delle luci.
Un Così fan tutte, insomma, perfettamente a fuoco e teatralmente stimolante, che alla seconda ripresa ha ancora un perfetto gioco di incastri. Nel cast, le due sorelle erano molto corrette nel canto e benissimo inserite nella visione teatrale, ma mentirei se dicessi che mi hanno suscitato particolari entusiasmi: Jennifer Davis, nelle due grandi arie di bravura, è precisa nell’intonazione ma troppo prudente nella coloratura, mentre la canadese Julie Boulianne convince solo parzialmente nel rendere la figura di Dorabella. Rispetto all’ultima apparizione scaligera, enormi progressi li compie Bogdan Volkov, un Ferrando cantato benissimo, poetico e stilisticamente ineccepibile, tanto che la consueta eliminazione di “Ah, lo veggio” mi è parsa un delitto; corretto, ma non indimenticabile, il Guglielmo di Gordon Bintner. Non stupisce, però, che siano stati i due artisti italiani a convincere maggiormente: il canto di Lucio Gallo è ormai piuttosto affaticato, ma l’incisività della dizione, la ricchezza delle sfumature, la forza carismatica del personaggio fanno ampiamente dimenticare ogni incertezza vocale, laddove Serena Gamberoni è una Despina virtualmente perfetta per la malizia, lo charme seduttivo, la freschezza vocale e l’energia inesausta impressa al suo personaggio.
Nicola Cattò
Foto: Tristram Kenton / ROH