International Chigiana Festival and Summer Academy 2022
NONO No hay caminos, hay que caminar… Andrej Tarkovskij MAHLER Sinfonia n. 4 in sol maggiore (versione per orchestra da camera di Erwin Stein) soprano S. Wegener harmonium S. Celeghin pianoforte G. Pianigiani contrabbasso G. Ettorre Chigiana Percussion Ensemble, Orchestra della Toscana, direttore Yoichi Sugiyama
Siena, Chiesa di Sant’Agostino, 5 luglio
SCELSI Manto CAGE String Quartet in Four Parts DVOŘÁK Quintetto in sol maggiore op. 97 Quartetto Prometeo (Giulio Rovighi e Aldo Campagnari violini, Danusha Waskiewicz viola, Francesco Dillon violoncello); contrabasso Giuseppe Ettorre
Siena, Palazzo Chigi Saracini, 6 luglio
Il primo è il concerto iniziale della ottava edizione dell’International Chigiana Festival and Summer Academy, una manifestazione che, quest’anno, si estende sino al 3 settembre e che è senza dubbio un unicum in Europa: 90 concerti, con 23 prime esecuzioni mondiali, due produzioni di opera (di cui una prima vivaldiana in tempi moderni), due concerti in Piazza del Campo, un finale (in collaborazione con il Mozarteum di Salisburgo) dedicato al barocco dopo circa sette settimane in cui l’enfasi è sulla musica contemporanea. Anche questa edizione ha un tema ed un titolo: From Silence, ossia il suono della musica che ci fa uscire dai nostri silenzi. E come ogni anno, un protagonista: Luigi Nono nel trentennale della sua scomparsa. C’è un nesso molto stretto tra il tema ed il protagonista perché Nono ha aperto la concezione drammaturgica del suono nella musica moderna e con essa il lessico che ne fa una chiave di lettura, anche politica, del mondo.
No hay caminos, hay que caminar… Andrej Tarkovskij del 1987 è forse una delle formulazioni più complete di questa poetica. Giunge diversi anni dopo Intolleranza 1960 e Al gran sole carico d’amore, opere in cui la voce e la coralità sono al centro del processo compositivo. In No hay caminos, hay que caminar… Andrej Tarkovskij non ci sono voci ma ci sono sette gruppi di strumenti detti “cori” da Nono: due sul palco comprendenti archi, timpani, grancassa e tromboni accompagnati da un’altra sezione, alle spalle del pubblico, con archi, trombone, timpani e grancassa che sono essenzialmente le voci di protesta e di desiderio dei campesinos. Sono a latere del pubblico quattro “cori” sistemati a specchio di tre strumenti e di bongos. Si possono trovare riscontri con, o ricordi di, opere verdiane, specialmente quelle con concertati più esplicitamente “politici”, ovviamente con un linguaggio ben differente da quello ottocentesco, ma non per questo meno affascinante.
La traduzione del titolo suona: “O voi che camminate, non ci sono cammini, c’ è da camminare”. Il cammino che Nono intraprese allora ebbe tre sbocchi: un villaggio peruviano in Caminantes… Ayacucho, il regista Tarkovskij in No hay caminos, hay que caminar… Andrej Tarkovskij e per ultimo il sogno Hay que caminar sonando. Caminantes… Il testo è di Giordano Bruno, uno che di cammini impossibili si intendeva molto. E questo cammino, che approda alla cittadina peruviana, è uno di quelli ideologicamente più netti che Nono abbia compiuto. Il compagno ideale di strada, il domenicano cinquecentesco, è scelto per la comune lotta contro l’ipocrisia, la corruzione, l’accademismo, insomma contro il conformismo. Ma, come sempre in Nono, non una sillaba del testo giunge all’ascoltatore Le percussioni segnano il percorso con i fruscii di sempre ma anche con meno consuete lacerazioni, gli archi (accordati in maniera inedita, corde all’ unisono ma ogni violino accordato su diapason diverso a distanza di microintervalli) insinuano lame taglienti, gli ottoni intervengono con grumi sonori densi e caldi. E due volte, nel percorso, giungiamo a mestizie di Requiem, di raffinata bellezza e di un raccoglimento quasi doloroso. Opera raramente eseguita, a ragione della sua complessità (oltre al debutto a Monaco di Baviera, si ricorda un’esecuzione alla Rai a Torino nel 1992) è stata un’apertura ideale di un festival intitolato From Silence e che ha trovato, oltre ad uno splendido direttore di musica contemporanea di fama mondiale (Yoichi Sugiyama), ottimi giovani musicisti nei ranghi della Chigiana e l’Orchestra Regionale della Toscana che è avvezza a musica moderna.
La seconda parte del concerto è stata la “versione da camera” curata da Erwin Stein della quarta sinfonia di Mahler. È una versione che sta entrando gradualmente in repertorio anche in Italia: è stata, ad esempio, il lavoro con cui l’Orchestra Verdi di Milano ha inaugurato la stagione 2021-2022. Si giustappone al lavoro di Nono in quanto, a differenza delle altre sinfonie di Mahler, è un inno se non alla gioia quantomeno alla serenità, andando – come scrisse Bruno Walter — al di là dell’esistenza terrena. Quindi al tormento ed al fervore politico (ma con poche illusioni e quasi senza speranza) di Luigi Nono viene contrapposta una delle rare composizioni impregnate di serenità di Gustav Mahler, il quale dà vita a una visione di speciale purezza e innocenza, quasi fanciullesca: il Lied finale Wir geniessen die himmlischen Freuden, (Godiamo della gioia celeste), tratto da Des Knaben Wunderhorn, con gli angeli che sfornano il pane, San Pietro che va a pesca, il senso leggero della danza di undicimila vergini. In “versione da camera”, tutto è più intimo e più intimista. Nel lied del quarto movimento, si svela tutta la voce del soprano Sarah Wegener, che ha avuto applausi speciali da un pubblico che riempiva l’auditorio: una Chiesa al tempo stesso neoclassica e barocca chiusa al culto dall’epoca napoleonica.
Al tempo stesso, però, gli ascoltatori che conoscono Mahler sanno che questo è forse l’ultimo momento di serenità del compositore boemo; nel giro di pochi anni, i tradimenti di coloro che considerava suoi amici lo costrinsero a lasciare la direzione del Teatro dell’Opera di Vienna, i dubbi sempre crescenti sulla fedeltà della propria moglie, le crescenti certezze che una malattia al cuore lo condannava a vita breve, lo resero, nell’intino, cupo e tormentato come il Nono di No hay caminos, hay que caminar… Andrej Tarkovskij.
Non è, quindi, la versione da camera della Quarta sinfonia di Mahler solo una giustapposizione, ma anche l’avvertimento agli spettatori del nesso tra il boemo tardo romantico ed il veneziano della seconda metà del novecento.
Il secondo concerto è stato tenuto nello splendido salone di Palazzo Chigi Saraceni, costruito per il Festival 99 anni fa. È una gioia ascoltare musica da camera tra quelle mura e quegli affreschi. La serata era dedicata al Quartetto Prometeo (di cui questa testata si è occupato più volte, recentemente nell’ambito dell’integrale dei quartetti di Shostakovich organizzata dall’Accademia Filarmonica Romana). Tuttavia, solo uno dei tre brani era a rigore un quartetto; il primo un assolo; il terzo un quintetto in cui Giuseppe Ettorre (membro dell’orchestra della Scala) si aggiungeva al quartetto. Come nel primo concerto di questo Festival, la prima parte è dedicata all’innovazione della seconda metà del novecento, mentre la seconda alle nuove scuole musicali “nazionali” che in Europa centrale ed orientale emergevano alla fine dell’ottocento.
Manto è del 1957, quasi contemporaneo ai Quattro pezzi su una nota sola, il brano forse più noto di Scelsi, il quale non si considerava un musicista ma uno studioso di religioni e filosofie orientali con qualche escursione da dilettante nel mondo del pentagramma. Manto è un assolo per violista e voce, ossia la violista Danusha Waskiewicz che, con una voce più da mezzo che da soprano, accompagna il suono dello strumento. In breve, un hum, hum ma di classe.
Il quartetto di John Cage è una delle tante composizioni ispirate alle quattro stagioni, in questo caso dall’estate alla primavera. C’è un breve riferimento a Vivaldi all’inizio del quarto movimento (per l’appunto, primavera), ma il brano è puro stile del periodo in cui Cage si considerava “postromantico”. Sono stagioni brumose nei cui colori dominano le mezze tinte. Differente il Quintetto di Antonín Dvořák, che vede il contrabbasso prendere un ruolo centrale. L’Allegro con fuoco iniziale si apre con un pianissimo di poche battute, al quale segue un tema brillante ed estroso d’intonazione slava. Il discorso musicale si conclude in una festosa stretta di mano fra tutti e cinque gli strumenti. Lo Scherzo, che è un Allegro vivace, è collocato nel secondo movimento del Quintetto. Qui affiora il Dvořák popolareggiante. Non manca un Trio indicato da una bella frase del primo violino, con qualche elegante variazione e riesposizione del tema principale nel contesto di un “da capo” dello Scherzo. Il Poco andante è contrassegnato da un lirismo, in cui si evidenzia la linea espressiva del primo violino, mentre il contrabbasso è presente con una serie di delicati pizzicati. L’Allegro assai conclusivo ha una scrittura densa e serrata messa in chiara evidenza dal Quartetto Prometeo ampliato da Giuseppe Ettorre.
Molti giovani in un pubblico che ha applaudito con entusiasmo.
Giuseppe Pennisi