di Emanuele Arciuli
Aveva quarant’anni, Roberto Elli, quando fondò la sua etichetta discografica, nel 1988.
Con una pregressa esperienza di distribuzione e vendita di dischi, maturata negli anni, e una curiosità autentica per gli ambiti meno frequentati della musica, Roberto era la persona giusta per intraprendere un’avventura e un’esperienza che, credo al di là delle sue aspettative, avrebbe riscosso un successo e un consenso internazionale, e negli anni si sarebbe consolidata come realtà ineludibile della scena musicale. All’inizio degli anni Novanta, il catalogo Stradivarius conteneva già titoli importanti, nobilitati dalla presenza di un pianista di assoluto valore e prestigio quale Sviatoslav Richter, e ben presto l’immagine dell’etichetta si legò alla musica antica e a quella contemporanea, cioè ai due settori meno popolari e amati dal grande pubblico. Senza disdegnare sortite più tradizionali, ma sempre privilegiando il gusto della scoperta e della rarità. Io stesso proposi con successo l’idea di incidere la prima versione delle Années de Pèlerinage di Liszt, allora inedita, e ricordo anche una integrale beethoveniana per pianoforte a quattro mani, per restare alle memorie personali.
Quello che posso dire con assoluta certezza, però, è che se c’era un luogo privo di qualunque ombra di snobismo, di affettazione, un luogo in cui gli artisti più ricercati si trasformavano in “operai” di un progetto culturale complessivo, in cui non si percepiva mai quel compiaciuto sussiego che caratterizza certi ambienti musicali nostrani, questo era la Stradivarius – o Milano Dischi. Le riunioni, interminabili, talvolta conflittuali e dialettiche, nelle quali Roberto recitava invariabilmente il ruolo dell’avvocato del diavolo, erano semplici, autentiche, genuine e spesso affettuose. Con Iaphet, Sissi, la compianta Valeria, Andrea e altri collaboratori, e con gli interlocutori che di volta in volta si avvicendavano, c’era sempre un’atmosfera familiare e vera. In un mondo affetto da un (mi si perdoni il francesismo) incurabile paraculismo, in cui i like (finti e a buon mercato), le piaggerie e le consorterie – anche virtuali – impazzano senza scampo, parlare con Roberto era rassicurante. Perché se aveva qualcosa di antipatico o critico da dire, lo diceva innanzitutto (anzi solamente) al diretto interessato, e parlava con affetto e stima dei suoi artisti e dei suoi collaboratori, sempre. Sono certo che la sua eredità, complicata da un carattere difficile e ispido, diffidente e poco incline ai convenevoli, ma profondamente buono, sarà raccolta da Sissi e Iaphet, e da tutti i bravissimi collaboratori di Stradivarius, a partire da Andrea Dandolo. Per i dischi il momento è difficile, e non basta definirsi eroici nel continuare l’impresa. Bisognerà essere creativi, visionari e fortunati nel saper cogliere la direzione del mercato, e capire cosa diventerà la musica registrata, dopo il long playing e il compact disc. Di certo la musica ha e avrà bisogno di nuove testimonianze interpretative, e la nuova musica (come la antica) vivrà ancora della necessità di essere immortalata in sempre nuove registrazioni. Spero che la lezione, burbera ma vera, di Roberto continui a fare frutti. Anzi sono certo che succederà.