MOZART Sinfonia n. 29 in la maggiore KV 201; Concerto per oboe e orchestra in do maggiore KV 271, “Ferlendis”; Sinfonia n. 40 in sol minore KV 550 oboe Ivan Podyomov Il Pomo d’Oro, direttore Maxim Emelyanychev
Torino, Auditorium del Lingotto, 7 febbraio 2023
Musicista preciso e dal piglio sicuro, direttore principale dell’ensemble Il Pomo d’Oro dal 2016, Maxim Emelyanychev è artista giovane (non ha ancora compiuto trentacinque anni) ma dal carattere e dallo stile già definiti e riconoscibili. Tutto ciò si è espresso anche in questa serata interamente votata al repertorio mozartiano, a partire dalla giovanile Sinfonia n. 29 in la maggiore,eseguita con abiti un po’ rococò, più che col fare baroccheggiante (ci torneremo) che ha un po’ caratterizzato l’esecuzione della Sinfonia n. 40 in sol minore. Personalità carismatica, questo recente prodotto della scuola russa si dimostra, vuoi per il gesto, vuoi per il modo di porsi, vuoi per la maniera di coordinare la propria compagine e per altre ragioni ancora, buon conoscitore di questa partitura del Mozart diciottenne. Gesti versatili, come emerge ancor meglio nel successivo Andante, guarnito di molteplici sfumature espressive e che dà modo al direttore russo di creare musica con salda coscienza della direzione da intraprendere al brano; il tutto, bisogna dire, con la pronta e altrettanto sicura risposta della sua orchestra: il Pomo d’Oro si conferma ensemble flessibile, robusto e amalgamato, ciò che si conferma per tutta la serata. Alla Sinfonia in la maggiore segue il Concerto per oboe K 271 in do maggiore, dedicato all’oboista bergamasco Giuseppe Ferlendis, che servì nella cappella musicale di quell’arcivescovo di Salisburgo Colloredo che il lettore ricorderà senz’altro per le vicende e gli attriti contratti proprio con i Mozart. A eseguirlo si è presentato sul palco un altro musicista russo, l’oboista trentaseienne Ivan Podyomov. Un avvio non particolarmente fluido, quello di Podyomov, e se è vero che presto riuscirà a imprimere al proprio strumento un suono più corposo, sgranato e musicale, è vero anche che qualche imprecisione persisterà ben oltre le prime battute: l’oboista russo è ben servito da un’orchestra sempre piuttosto precisa e matura, malgrado a tratti il nostro appaia persino affaticato (certo occorre sempre tener presente l’impiego dello strumento barocco), ma si riscatta nella cadenza del primo movimento, dove si evince con chiarezza un musicista di buona fattura.
Lo stacco della celeberrima (quantomeno il suo quadratissimo tema inaugurale) Sinfonia n. 40 è piuttosto rapido, con figurazioni molto strette; una lettura filologica che però in questa esecuzione mi pare non permetta di valorizzare appieno gli equilibri della partitura, oltre che (e qui mi riferisco in particolar modo allo sviluppo, dove, come non di rado nella sinfonia classica, tra le altre cose maggiore è l’interesse armonico da far emergere) oltre che, dicevo, il contrappunto e le modulazioni. D’altra parte è anche vero che così immaginato, descritto e pertanto eseguito, l’Allegro iniziale finisce un po’ per esprimere quanto suggerito da Giorgio Pestelli, e cioè che si tratti di una composizione libera da accenti patetici e anzi «senza che al pathos sia mai concesso di scavalcare gli stretti limiti imposti dalla dolorosità stessa della materia». Sia come sia, l’esecuzione orchestrale è sempre piuttosto brillante, reattiva, tecnicamente sostanzialmente irreprensibile e sicura. Concluso il primo movimento, opportunamente Emelyanychev lascia stemperarne gli umori da permettere al pubblico di metabolizzarlo e di finire di canticchiarlo, per poi col secondo aprire un nuovo scenario, caratterizzato da un’identità quasi altrettanto forte rispetto all’Allegro. Più in generale, quello di Emelyanychev e del suo ensemble è una maniera di guardare a Mozart dal punto di vista di chi sia particolarmente votato al repertorio barocco (lo stesso nome della compagine “Pomo D’oro” rimanda all’opera che Antonio Cesti compose tra intorno al 1666 per celebrare le nozze tra l’imperatore asburgico Leopoldo I e Margherita Teresa di Spagna), ottenendo un risultato generalmente brillante e coinvolgente. Tuttavia, e ho provato a suggerire in poche parole quali a mio avviso siano le ragioni, le vie adottate dal talentuoso Emelyanychev potrebbero non sempre risultare le più adatte. Ma quanto abbiamo assistito ci persuade che valga senz’altro la pena seguire gli sviluppi della futura attività sua e della sua orchestra.
Marco Testa
Foto: Mattia Gaido