GRANADOS Goyescas PUCCINI Suor Angelica G. Piunti, A. Gorrotxategui, C. San Martín, G. Lanza, M.J. Siri, L. D’Intino; Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo, direttore Donato Renzetti regia e scene Andrea De Rosa costumi Alessandro Ciammarughi
Napoli, Teatro San Carlo, 29 maggio 2016
L’abbinamento dei due atti unici proposto a Napoli dal Teatro San Carlo, a prima vista sembrava una strana coppia: cosa può unire Goyescas di Enrique Granados a Suor Angelica di Puccini? Le due opere non sembrano condividere nulla, se non il debutto al Metropolitan di New York in anni vicini (Goyescas nel 1916, Suor Angelica nel 1918): per il resto, né lo stile musicale, né il soggetto, né l’atmosfera complessiva hanno qualcosa in comune.
Eppure, in questo allestimento del San Carlo in coproduzione col Teatro Regio di Torino (dove andò in scena l’anno scorso) e il Maggio Musicale Fiorentino, la giustapposizione della chiassosa, sensuale, tragica vitalità di Goyescas e della storia di sofferenza e dolore di Suor Angelica si può dire che abbia funzionato, magari anche solo per contrasto. Come a dire: carnalità contro spiritualità (anche se poi il regista ha preferito sostituire il secondo termine con psicolabilità).
È un dato di fatto che tanto la musica in Granados è fisica ed esplicitamente erotica, quanto l’atmosfera in Suor Angelica è religiosa e mistica. Entrambe le storie raccontano comunque di personaggi femminili: nella prima, Rosario è una nobile madrilena innamorata di Fernando, e nel secondo, Angelica è una giovane donna aristocratica che è stata chiusa in convento dalla sua famiglia dopo aver dato alla luce un figlio illegittimo.
Goyescas, il più noto dei pochi lavori di Enrique Granados, è un melodramma d’amore, gelosia e violenza. Il compositore ha qui rielaborato una sua precedente serie di pezzi per pianoforte, che traevano spunto dalla musica popolare della Spagna del 18° secolo, e si è ispirato ai personaggi ritratti da Francisco Goya, i cosiddetti majos e majas, giovani uomini e donne di Madrid noti per il loro stile di vita anticonformista e lo sfoggio di eleganza.
La musica è piena di melodie e danze vivaci, ma vi aleggia continuamente il senso di una tragedia che poi si avvererà nel finale. La bella Rosario e il suo Fernando incontrano il torero Paquiro, il cui corteggiamento della donna suscita la gelosia del suo innamorato. Fernando sfida Paquiro a duello e ne viene ferito a morte.
In questa messa in scena, Rosario era il soprano Giuseppina Piunti, il cui timbro caldo e passionale è apparso subito perfettamente adeguato al ruolo. La Piunti possiede una bella voce e ha dato al suo personaggio una notevole intensità fisica, addirittura proponendosi senza veli in una riproduzione “dal vivo” della celebre Maja desnuda.
Se la Piunti ha cantato con una linea elegante e con notevole sicurezza, il tenore Andeka Gorrotxategui è stato un Fernando coinvolgente. Gorrotxategui ha accentuato con il suo timbro sicuro il bisogno del suo personaggio di dimostrare la sua virilità e difendere il suo onore. Entrambi sono stati vivaci ed estroversi, mentre il baritono César San Martin nelle vesti di Paquiro e Giovanna Lanza come Pepa, che hanno cantato molto bene e con convinta adesione ai rispettivi ruoli, erano più controllati e discreti.
Il regista Andrea De Rosa, che ha anche disegnato le scene, ha presentato, nei due quadri di cui è composta l’opera, una riproduzione intensa e fedele dei dipinti di Goya, senza lasciare spazio a letture burlesche o folkloristiche, con l’aiuto dei bei costumi di Alessandro Ciammarughi, il disegno luci di Pasquale Mari e le coreografie di Michela Lucenti.
Suor Angelica richiede un cast di sole donne, e nel ruolo della protagonista ha bisogno di una interprete con grandi capacità drammatiche, ancor più che vocali.
L’azione è stata inserita da De Rosa non in un convento, come vuole il libretto, ma in un manicomio in cui le suore erano infermiere. Il regista, non vestendo la donna con l’abito monacale, ha voluto suggerire come Suor Angelica non fosse una delle infermiere ma (come poi apparirà chiaro alla fine) una delle internate. E infatti, dopo che la dura zia principessa le rivela che il suo bambino è morto, lei ha un crollo nervoso, e viene trattata (quasi fosse abituale) come una degente dalle altre suore.
Nella sua interpretazione di Suor Angelica, Maria José Siri è stata carismatica e sicura nel difficile passaggio dalla mesta e malinconica suora dell’inizio alla isterica madre ferita dalla notizia della morte di suo figlio. La voce della Siri era notevole per il fraseggio e il tono, levigato e fluido all’inizio, spezzato e sofferente, con una vena di follia alla fine.
Perfetta la voce di Luciana D’Intino per il personaggio della spietata zia principessa, che ha meravigliosamente contrapposto il suo timbro brunito e l’impostazione salda ai toni via via più nevrotici della Siri nell’intensa scena tra le due donne. Le altre interpreti (le suore) hanno cantato in modo coinvolgente e con sensibilità e consapevolezza scenica.
Il regista ha scavato senza pietà nel lato oscuro del personaggio, mettendo da parte per quanto ha potuto la spiritualità insita nel libretto e nella musica, e chiedendo alla protagonista una caratterizzazione che accentuasse soprattutto la fisicità e la sofferenza psicologica della donna.
Nel finale quindi non si ripropone la visione mistica del figlio da parte della donna morente, ma la rappresentazione di una ordinaria scena da un manicomio, in cui l’apparizione del bambino viene sostituita da un bambolotto di pezza che un’altra malata mette in mano ad Angelica, certamente non più una suora (se mai lo era stata nell’idea del regista), ma una mater dolorosa alienata, poco ultramondana e molto umana.
Le espressioni e i movimenti in scena del cast hanno ben interpretato le emozioni e le impressioni create dalla regia e dalla musica. Il direttore Donato Renzetti è stato un protagonista indiscusso della serata: la sua guida dell’orchestra San Carlo è stata eccellente. Sotto la sua bacchetta, i musicisti hanno creato una tessitura musicale serrata e coinvolgente che ha sostenuto i cantanti con energia e fervore, in particolare con una impressionante, tesa e ben bilanciata sonorità nei tutti orchestrali.
Lorenzo Fiorito