Il giovane compositore racconta il suo viaggio verso il cinema di Los Angeles
di Sofia Grasso e Sara Salvadè
Giovane, energico, sguardo deciso: venticinque anni, tanta passione e voglia di emergere, con in mano già dei titoli e delle esperienze importanti.
Diamo, oggi, il nostro benvenuto al compositore David Cerquetti. Lo accogliamo ai microfoni di Psychedelia’s Storytellers con l’intento di farci raccontare la sua esperienza che ci porta fino al cinema di Los Angeles. Un incontro, questo, che ci auguriamo possa essere d’esempio e di ispirazione a tutti coloro che da giovanissimi hanno un sogno e vogliono farlo divenire realtà.
Maestro, come ha iniziato ad appassionarsi alla musica?
Il mio incontro con la musica è iniziato a circa otto anni; ero, quindi, un pochino più giovane di voi. Ho iniziato a studiare pianoforte, perché a quell’età la parola “comporre” ancora non sapevo cosa volesse dire. La composizione è arrivata più tardi. La cosa “buffa” è che all’inizio, quando ho cominciato ad appassionarmi alla musica, volevo suonare la batteria e chiesi, chiaramente, a mia mamma di iscrivermi ad un corso di batteria. Il corso, però, era pieno, così, arrivata a casa, mi disse: “l’unico posto libero è sulle tastiere elettroniche” ed ho detto “va bene, faccio tastiera”. Il primo giorno, arrivato a lezione, però, la tastiera era rotta ed il docente mi disse che soltanto per quel primo incontro avremmo fatto lezione sul pianoforte. Non volevo fare musica classica e mia madre temeva, una volta vistomi al pianoforte al suo ritorno, che non ci volessi più tornare. Invece è stato un amore a prima vista. Ed è stato così che ha avuto inizio il mio percorso.
“L’importante non è eccellere, non è un fattore determinante; l’importante è maturare, trovare la vostra via, la vostra voce, ciò che vi piace fare, coltivando una personalità positiva e gentile. Collaborate sempre con persone che vi fanno stare bene”
Come nasce l’amore per la composizione?
Da subito ero interessato a sperimentare: ogni qualvolta mi veniva dato un brano da studiare, fosse Chopin, Mozart, Bach o i Beatles, mi mettevo lì e ne cambiavo le armonie, cambiavo le parole delle canzoni, modificavo il linguaggio musicale.
Il suo primo insegnante aveva già notato questa sua predisposizione?
Sì. È stato proprio lui a suggerirmi di studiare composizione. Io, chiaramente, non sapevo cosa volesse dire comporre o scrivere musica; ne parlai a casa, ma neanche i miei genitori sapevano cosa fosse e quant’altro; dunque, lì per lì, abbandonai in modo inconsapevole l’idea, continuando in famiglia ad essere spronato semplicemente nello studio del pianoforte. Aggiungo che vengo dalla Valle d’Aosta, da un ambiente molto piccolo. Nel mio paese siamo in 3.000, giusto per darvi un’idea. Il mio maestro, dicevo, mi consigliò di frequentare il conservatorio, così mi ci sono iscritto per studiare il pianoforte, fino ai sedici/diciassette anni circa. Non ho, pertanto, studiato composizione fino a quel momento, in realtà. Avevo iniziato a scrivere qualcosa per conto mio, ma non consapevole, di fatto, di ciò che facessi.
Iniziata l’avventura in conservatorio, come si è sentito?
Mi sono sempre spronato a non mollare nonostante non fossi il più bravo, perché siamo noi a cambiare la storia. Mi sono sempre impegnato e ho raggiunto risultati; invece, molti dei miei compagni si sono arresi. Finito il liceo, ho deciso che era arrivato il momento di dire qualcosa a livello artistico.
Ho iniziato, quindi, a viaggiare, non perché volessi viaggiare, ma perché in qualche modo bisogna vivere e, purtroppo, in Italia, adesso come adesso, è difficile vivere di questo mestiere.Spero che quando voi avrete la mia età la situazione sarà diversa. Sto lasciando l’Italia a malincuore, in realtà: vado a Los Angeles per continuare il mio percorso, ad agosto mi trasferirò del tutto. Los Angeles è il cuore del cinema e cito il cinema perché, appunto, ho scelto di dedicarmi alla composizione nel campo delle immagini.
“Sto lasciando l’Italia a malincuore, in realtà: vado a Los Angeles per continuare il mio percorso”
Per Lei la parola “musica”, oltre ad essere un lavoro, cosa rappresenta? Se dovesse dare una sua definizione, cosa ci direbbe?
La musica, per me, è prima di tutto arte e bisogna sempre ricordarsi che si comunica con qualcuno quando ci si esibisce. Nel mio caso è anche lavoro e condivisione.
Dobbiamo sempre immaginare il nostro interlocutore, a chi vogliamo parlare, cosa vogliamo trasmettere. Tutto parte sempre da: “che cosa voglio dire io? Qual è la mia visione artistica?” Poi tutto ciò si modifica in base a ciò che il mercato vuole e quindi diventa lavoro.
Bisogna, però, ricordare che la musica è l’unica arte esistente che non è palpabile; infatti, quando un musicista smette di suonare di lui non rimane niente, tranne, alcune volte, gli spartiti. L’emozione è il centro.
Entriamo nel vivo del come si compone musica per film. Ci spiega esattamente in cosa consiste praticamente il suo lavoro?
Si parte sempre da un pensiero musicale. Prima di tutto bisogna guardare insieme al regista la scena sulla quale si andrà a lavorare e parlare di emozioni. Che cosa devo dire io? Che cosa devo trasmettere? Qualcosa che sicuramente sulla scena non c’è, ossia: il protagonista, magari, è sicuro di sé sulla scena, dimostra sicurezza, ma, forse, dentro di sé, è molto insicuro. A quel punto io non vado a descrivere la sua sicurezza sulla scena, perché, appunto, già ce lo comunica l’immagine, ma vado a descrivere ciò che lui prova dentro.
“L’importante non è eccellere, non è un fattore determinante; l’importante è maturare, trovare la vostra via, la vostra voce, ciò che vi piace fare, coltivando una personalità positiva e gentile. Collaborate sempre con persone che vi fanno stare bene”
Questo è il ruolo della musica: raccontare l’emozione. Ci si concentra, quindi, sul timbro, ossia il colore, e sull’emozione di quella scena. Inizio a scrivere note sul pentagramma, scrivo la musica su carta e la riporto poi sul pc, dove utilizzo un programma che mi permette di sentire la musica suonata dai vari strumenti, ossia di riprodurre quella che potrebbe essere l’idea di un’orchestra vera. Lavoro, in pratica, con strumenti che chiamo “finti”, che si avvicinano, cioè, al reale, ma che, in realtà, non lo sono. Questo perché sarebbe molto dispendioso chiamare un musicista per ogni suono che scrivo o, addirittura, un’intera orchestra. Così facendo riesco a comprendere più o meno come poter realizzare quel suono con gli strumenti che fanno parte della sua orchestra formata da circa un centinaio di musicisti. Creo quindi delle demo con dei suoni finti (un violino finto, un’arpa finta, etc.) di strumenti che, come dicevo, si avvicinano al reale, anche se non lo sono del tutto.
“Purtroppo in Italia, adesso come adesso, è difficile vivere di questo mestiere”
Passa dal pianoforte per comporre o scrive soltanto su carta?
Ci sono tante metodologie per comporre, io vi parlo della mia. Non tocco il pianoforte per non farmi influenzare dalla mia conoscenza: chiaramente, essendo un pianista, ho già la mano predisposta tecnicamente al pianoforte; quindi, credo sia meglio partire sempre dal pensiero musicale. La musica, come sapete, ha determinati parametri, uno di questi è il timbro: io parto sempre da quello, mai dalla melodia, ma proprio dal colore dello strumento.L’iter è questo:emozione, colore, strumento, note su carta, realizzazione al pc della demo. Finita la demo, la invio al regista che al 99% delle probabilità me la boccia (è sempre così!), quindi la rimanda indietro, la correggo e così via, fino a quando il regista non approva. A quel punto si prenota uno studio di registrazione, si registra il brano con un’orchestra vera. Questa registrazione andrà a sostituire i suoni “finti” sul film vero e proprio.
Dirigere dei musicisti che suonano è tanto diverso dal suonare uno strumento?
Prima di tutto non sono un direttore d’orchestra. A volte, per mancanza di budget, poiché io sono il compositore che conosce meglio la musica che ho scritto, devo dirigere io. Se ci fosse, però, un direttore d’orchestra professionista, farei fare a lui questo lavoro, poiché non ho studiato direzione d’orchestra. Un direttore, come il compositore, non deve saper suonare alla perfezione uno strumento; tuttavia, deve conoscere tutti gli strumenti in modo approfondito. In pratica, un direttore può insegnare a suonare un determinato strumento anche senza saperlo suonare lui stesso.
Quando deve esibirsi come si sente?
Con tanta tensione ed altrettanta responsabilità. Effettivamente ci sono molte persone di fronte a me. La difficoltà più grande è che non devo trasmettere la mia tensione ai musicisti. Se i musicisti capiscono che io ho paura suonano male, quindi devo essere molto sicuro o far finta di essere molto sicuro di quello che sto facendo anche se, a volte, magari non lo sono.
“Ho avuto la fortuna di avere una nonna fantastica, che mi ha sempre supportato. È stata lei a comprarmi il primo pianoforte”
In che modo è iniziata la sua carriera? Qual è stato il primo vero contratto di lavoro?
La mia prima esperienza lavorativa di composizione risale al 2018, quando mi sono state commissionate le musiche per un intero spettacolo teatrale, in Valle d’Aosta. Era una compagnia valdostana, al suo spettacolo di debutto; quindi, anche per la compagnia era la prima esperienza. Ho composto circa sessanta minuti di musica per uno spettacolo dal vivo. Quest’anno, invece, nel 2023, è arrivata la prima commissione per il cinema: si tratta di musicare un intero film prodotto da Blue Film,“Buio come il cuore”, con la regia di Marco De Luca.
I suoi genitori hanno sempre supportato la sua passione per la musica?
Sì, sempre. Chiaramente, è difficile convincere le persone che di musica in Italia si possa vivere. È stato un percorso lungo, ma alla fine ce l’ho fatta. Devo dire che ho avuto la fortuna di avere una nonna fantastica, che mi ha sempre supportato. È stata lei a comprarmi il primo pianoforte a muro (verticale). Era una grande appassionata di arte e suo marito, mio nonno, che purtroppo non ho mai conosciuto, era un pittore e viveva di quello. Lei era sicura che, in qualche modo, ce l’avrei fatta. Mi ha sempre spronato e, purtroppo, è venuta a mancare proprio l’anno in cui ho iniziato a studiare composizione. Ricordo che, in tale occasione, tra me e me, mi sono fatto una promessa, ossia di non mollare mai, anche in suo onore e nel suo ricordo. Ogni volta che compongo è nei miei pensieri. Sono riuscito comunque nel frattempo a convincere i miei genitori che di questa professione, se si vuole, si può vivere. Alla fine, non ci ho impiegato tanto e spero che queste mie parole possano essere d’esempio anche per voi: se vi impegnate tanto in ciò che volete fare, ce la farete. Io ho venticinque anni e riesco a mantenermi da solo, a vivere di questo.
“La passione è la motivazione, quella che ci fa stare le notti sui libri”
C’è un messaggio in particolare che vuole lanciare?
In realtà, quello che vorrei far trasparire oggi sono due messaggi. Il primo è: seguite i vostri sogni e non mollate! Il mio sogno era quello di dire qualcosa di diverso e questo è il sogno un pò di tutti gli artisti. Il secondo è che non bisogna necessariamente essere dei geni per fare questo mestiere: tutto arriva dalla maturità e da ciò che siete voi, come persona, come carattere, voi come unicità. È tutto questo a fare la differenza! Io non ero, e questo ve lo posso assicurare, un bravo pianista. Come compositore all’inizio ho avuto difficoltà, sono maturato tanto nel tempo. Molte persone più talentuose di me hanno mollato e quindi… sono rimasto io! (sorride)
“Seguite i vostri sogni e non mollate!”
Ho sempre studiato, mi sono rialzato, ho fatto tanti sacrifici e sono consapevole del fatto che ho ancora molto da imparare, però i lavori arrivano ed i riconoscimenti anche. Pian piano ho creato una mia filosofia di pensiero, una mia visione artistica, una mia unicità e quindi le persone mi chiamano per chi sono io, e non perché ho quel “marchio di fabbrica” e so fare questo lavoro come centomila altre persone, ma perché faccio un qualcosa di unico, che so fare solo io. Questo è davvero un aspetto fondamentale del quale mi sono reso conto e che è valido per qualsiasi arte. Ricordate che passione, motivazione, intraprendenza, impegno e studio fanno davvero la differenza. La passione è la motivazione, quella che ci fa stare le notti sui libri. L’importante non è eccellere, non è un fattore determinante; l’importante è maturare, trovare la vostra via, la vostra voce, ciò che vi piace fare, coltivando una personalità positiva e gentile. Collaborate sempre con persone che vi fanno stare bene. Se vi trovate a stare male con persone che vi fanno stare male, anche se sono persone “importanti”, anche se hanno vinto tanti premi e sono famose, lasciatele stare perché non vi porteranno da nessuna parte. State sempre con le persone che vi fanno stare bene.
PSYCHEDELIA’S STORYTELLERS è un progetto di giornalismo di base e nuovi media a cura di Pamela Pinto, attivo presso l’Istituto Comprensivo “Via Libertà” di San Donato Milanese (MI) – scuola secondaria di primo grado “Alcide De Gasperi”.