SMAREGLIA Nozze istriane S. Tisba, G. Dallavalle, F. Polinelli, G. Infantino, F. S. Venuti, G. Lanza; Filarmonica Arturo Toscanini, Coro del Festival Illica direttore Jacopo Brusa maestro del coro Riccardo Bianchi regia Davide Marranchelli scene e costumi Anna Bonomelli
Castell’Arquato, Piazza del Municipio, 7 luglio 2023
Si è tenuta dal 4 all’8 luglio la decima edizione del Festival Illica, appuntamento musicale estivo di Castell’Arquato, paese dal fascino senza tempo annoverato tra i borghi più belli d’Italia in provincia di Piacenza.
Il Festival è un tributo alla figura di Luigi Illica, nato nel borgo piacentino, un’eccellenza italiana e cosmopolita nella librettistica d’opera, che ha contribuito a creare alcuni dei più celebri titoli del melodramma per i maggiori operisti vissuti a cavallo tra Otto e Novecento, come Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Umberto Giordano, Quest’anno cadeva anche il 33° Premio Luigi Illica, uno dei più antichi d’Italia, istituito per onorare le eccellenze nel campo della lirica, della cultura e del giornalismo, riconoscimento che viene assegnato ogni due anni. Quest’anno i premi sono andati a Raina Kabaivanska, Gregory Kunde, al giovane baritono Davide Luciano mentre per la critica musicale e per il giornalismo a Gian Paolo Minardi e a Giangiacomo Schivi, autore del libro Il genio ribelle. Luigi Illica una vita da Bohème.
Dopo la consegna dei premi nella bellissima piazza del paese, che domina la campagna piacentina, tra la torre merlata, il palazzo comunale e la chiesa romanica, è stato eseguito un titolo assai raro del repertorio melodrammatico, il lavoro più noto del compositore scapigliato Antonio Smareglia (1854 – 1929), Nozze istriane su libretto di Luigi Illica.
Rappresentata per la prima volta a Trieste il 28 marzo 1895 con due interpreti d’eccezione, il soprano Gemma Bellincioni, già prima Santuzza nella Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, e Roberto Stagno, il tenore palermitano, anch’egli apprezzatissimo nella parte di Turiddu nella première romana di Cavalleria, l’opera si rappresenta sporadicamente e pertanto è apprezzabile lo sforzo condotto dal Festival per riportarla in scena.
La vicenda narrata nel libretto è ambientata a Dignano, nei pressi di Pola, e si ispira a un torbido dramma d’amore e gelosia culminante nella morte di uno dei protagonisti, tema ricorrente all’epoca e di tipico gusto verista. Smareglia, tuttavia, si mostra lontano da quella poetica, fatta di accensioni brucianti e di violenza, preferendo un senso della misura, un’eleganza di toni e di timbri musicali che gli derivano dalla frequentazione con il repertorio tedesco, dall’amore per Wagner e per Richard Strauss. Certo, la vivace descrizione della realtà istriana, con tanto di stornelli e di una ‘villotta’, sembrano apparentato alla corrente verista, ma siamo ben lontani dalla cieca e brutale passionalità di Cavalleria rusticana o di Pagliacci.
Lineare il soggetto: Marussa e Lorenzo sono due giovani compaesani innamorati. Marussa però ha un altro pretendente, il ricco Nicola. Il padre, l’umile e sempliciotto Menico, viene convinto da Biagio, il violinista del villaggio, a dare la figlia in sposa a Nicola. Marussa non vorrebbe ma viene ingannata e si convince che Lorenzo non l’ami più e abbia un’altra donna, così si organizza il matrimonio con Nicola. Tuttavia Marussa si accorge di essere vittima di una macchinazione e, poco prima delle nozze combinate, implora Nicola di liberarla dall’impegno. Questi rifiuta e Lorenzo, che di nascosto ha ascoltato il colloquio, compare all’improvviso e si scaglia su Nicola con un coltello: questi sfodera la sua arma uccidendo il rivale. Alle grida disperate di Marussa accorrono gli invitati e l’opera si chiude con questo tragico finale.
Musicalmente l’opera si presenta con tratti asciutti ed essenziali, ammiccando ora al sinfonismo d’area tedesca (la sinfonia, la descrizione del temporale) ora alla vena popolareggiante del verismo nell’attenzione al colore locale. I personaggi ne escono ritratti in maniera semplicistica, senza un vero e proprio sviluppo psicologico, e soprattutto manca a Smareglia la forza melodica dei grandi operisti suoi contemporanei.
A Castell’Arquato hanno fatto le cose per bene affidandosi all’ottima Filarmonica Arturo Toscanini di Parma che, pur con i limiti di un’esecuzione all’aperto, ha saputo valorizzare al meglio la raffinata scrittura orchestrale grazie anche alla dedizione del direttore Jacopo Brusa, forse troppo attenta a non assecondare la vulgata di uno Smareglia verista, preferendo colori pastello alle accensioni più vibranti, pure qua e là presenti in partitura.
Su un palco, necessariamente di misura contenuta, è stata messa in scena dal registra Davide Marranchelli la vicenda, avvalendosi di pochi elementi: un altare con la statua della Madonna circondata dalla suggestiva luce delle candele, poche sedie da chiesa e nell’ultimo atto una chaise longue per simulare l’interno della casa di Marussa. Più che l’aspetto visivo — forse se ne avrebbe potuto dare, con altrettanta soddisfazione, una versione in forma di concerto dati i limiti di spazio e di caratterizzazione da parte di alcuni interpreti e soprattutto del coro — è risultata interessante la parte musicale: la protagonista, Sarah Tisba, ha fatto del suo meglio per ritrarre una Marussa volitiva e decisa a non sottostare alle imposizioni paterne. La voce è piccola e per certi versi non del tutto adatta alla parte, ma ne è uscita a testa alta facendosi valere anche per alcune finezze vocali, oltre che per doti sceniche. Non allo stesso livello e particolarmente impacciato come attore, il Lorenzo di Giuseppe Infantino che, pur dotato di voce squillante e adatta alla parte, si è lasciato andare a qualche eccesso verista di troppo, soprattutto negli sfoghi all’acuto. Ottimo, per presenza scenica e per caratterizzazione vocale, il Biagio di Filippo Polinelli, che ne ha fatto quasi un protagonista, mellifluo e mefistofelico nei tratti. Efficaci le esibizioni di Francesco Samuele Venuti come Nicola e di Giovanna Lanza come Luze, interpretata quest’ultima con qualche eccesso scenico, come fosse Azucena. Discreta la prova di Graziano Dallavalle come Menico.
Alla fine applausi convinti per tutti per una serata che, all’originalità della proposta musicale, univa tutto il fascino del contesto urbano e paesaggistico del borgo medievale.
Stefano Pagliantini
Foto: Valter Sirosi