PUCCINI Madama Butterfly V. Yeo, S. Escobar, D. Cecconi, A. Karayavuz, G. Raimondo, F. valenti, A. Martini, M.C. Bellantuono; Orchestra I Pomeriggi Musicali, Coro OperaLombardia, direttore Riccardo Frizza regia Rodula Gaitanou scene e costumi Takis
Brescia, Teatro Grande, 22 luglio 2023
“La versione ‘ideale’ di Madama Butterfly potrebbe essere proprio quella andata in scena nella primavera del 1904 al Teatro Grande di Brescia”: così scrive Marco Bizzarini nell’acuto saggio distribuito al pubblico di questa produzione bresciana del 2023, succosa anticipazione del cartellone autunnale di Opera Lombardia (dove proseguirà il suo viaggio per i teatri regionali) e, insieme, anticipazione delle celebrazioni pucciniane del 2024, nonché parte dell’offerta musicale di Brescia e Bergamo capitali della cultura di quest’anno. Quella che suggerisce Bizzarini è la stessa riflessione che si è fatta avanti in me assistendo a questa riuscita produzione: rispetto alla prima assoluta alla Scala perdiamo la canzone di Yakusidé (poco male), ma si mantengono i bruschi interventi (“musi”, “nipponeria”) di Pinkerton contro i giapponesi ; “Ier son salita” ha ancora il testo originale, senza quell’impropria conclusione (un banale “Amore mio”) della lectio definitiva, così come “Che tua madre” mantiene la dimensione di favola tragica e misteriosa, piena di sottintesi, che si perdono nella pur drammaticissima ultima redazione. E poi tanto altro ancora: il duetto d’amore con l’inserto poi eliminato (sorta di risposta anti-americana di Butterfly agli insulti di Pinkerton), lo straziante “Suzuki fammi bella”, la canzoncina cantata al figlio prima della veglia notturna. Certo, a Brescia Puccini inserisce inopinatamente “Addio, fiorito asil”, che nella sua languida cantabilità sembra ingentilire il personaggio di Pinkerton: perdita secca rispetto all’agghiacciante “Addio, mi passerà” di Milano. Ma l’aria finale è già quella definitiva, perfetta nella sua stringatezza, senza le divagazioni un po’ inutile della prima versione. Insomma, non voglio proseguire in un’analisi stucchevole: ma considerando Madama Butterfly come un grande work in progress che si snoda tra il 1904 e il 1908, tra Milano (Scala) e Milano (Carcano), la cosiddetta “versione di Brescia” sembra mantenere quasi tutto il meglio di ogni possibile proposta testuale, sì da poter diventare (anche se non sono fiducioso) uno standard per il prossimo futuro.
L’impressione di efficacia è stata resa possibile da un’esecuzione di ottimo livello: sul podio dei Pomeriggi Musicali (apparsi in ottima forma), Riccardo Frizza (al debutto con la Butterfly) ha scelto un’estrema libertà nello stacco dei tempi, ma sempre con una logica teatralmente chiarissima alla base, stringendo e allargando in perfetta sintonia con la protagonista. La lunga esperienza nel repertorio belcantista permette a Frizza, secondo me, un approccio molto efficace a una partitura ben posteriore: ne guadagnava l’assoluta chiarezza della concertazione, ove i dettagli orchestrali (e Butterfly è una miniera in tal senso) rilucevano all’interno di una trama coerentissima, e soprattutto la dimensione teatrale era sempre al centro dell’attenzione del direttore bresciano, che non mancava mai di cogliere ed esaltare l’acme emotivo della frase. Con lui, una sorprendente Vittoria Yeo: confermando le lusinghiere impressioni avute da Maurizio Modugno in una recente recita romana (dove sostituiva, come anche qui a Brescia, Eleonora Buratto, in quel caso con un preavviso di pochissime ore: leggi qui la recensione), il soprano coreano si è rivelata interprete ricchissima di sfumature, addirittura esaltante per la capacità di fare leva su una dizione chiarissima per illuminare dal di dentro ogni parola, ogni piccolo risvolto del testo, con una ricchezza e una naturalezza di intenzioni davvero emozionanti. La Yeo è cantante corretta, dalla voce estesa (il Re bemolle dell’entrata era presenta all’appello) e capace di tutte le mezzevoci richieste dallo spartito: ma non è, va detto, una cantante onnipotente. Ma come le grandi artiste sa far leva anche sulle sue debolezze a fini espressivi: e così è stato per il “Tu, piccolo Iddio”, a cui è arrivata evidentemente e comprensibilmente stanca, ma più travolgente che mai. Oltre a lei, non ha affatto demeritato il mezzosoprano turco Asude Karayavuz, una Suzuki intensa e dal colore ambrato (ma dall’emissione un po’ indietro), così come il baritono Devid Cecconi, Sharpless dalla intensa umanità e Giuseppe Raimondo, un efficace Goro; quanto a Sergio Escobar, sembrava indisposto (troppo frequenti i momenti in cui beveva da un bicchiere in scena), ma in assenza di annunci ufficiali devo purtroppo rilevarne l’assoluta inadeguatezza vocale. Ben allestito l’ampio stuolo di comprimari (e in questa versione anche la Mamma, la Zia e il cugino beone Yakusidé — pur senza la canzone “di Milano” — hanno spicco maggiore) così come il Coro di OperaLombardia.
Lo spettacolo della regista greca Rodula Gaitonou era tanto semplice quanto efficace: una scena inclinata quasi fissa, una casetta costituita da un piano, quattro travi agli angoli e pochi elementi di arredo, un fondale che mostrava o copriva un dipinto di montagne giapponesi all’occasione, giocando con intelligenza sul rapporto tra interno ed esterno. L’elemento nipponico era più evocato che realizzato in maniera icastica, ma l’intero spettacolo era basato su una recitazione diretta, intensa, fluida, fatta di gesti altamente significativi: peccato solo per una gestione piuttosto rozza delle luci, specie nel coro a bocca chiusa e nell’intermezzo seguente. Ma con qualche piccolo aggiustamento, potrà funzionare ancora meglio.
Successo calorosissimo, con punte trionfali per la Yeo: e il teatro, nonostante un caldo sabato di fine luglio, era quasi pieno. Ennesima prova della vitalità senza tempo del teatro pucciniano, che non ha bisogno delle pagliacciate inscenate dove si vorrebbe “difendere” un compositore che invece si difende benissimo da solo.
Nicola Cattò