RAVEL Concerto per pianoforte in SOL, Concerto per pianoforte in RE MUSORGSKIJ Quadri di una esposizione Orchestre Philharmonique de Radio France, direttore Tarmo Peltokoski pianoforte Yuja Wang
Stresa, Stresa Festival Hall, 3 settembre 2023
Allo “Stresa festival” Yuja Wang ha calato un doppio asso, affrontando nella stessa serata i due concerti per pianoforte di Ravel in un appuntamento andato tutto esaurito già in prevendita. È magnetica alla tastiera, la pianista cinese giallovestita per l’occasione, e nei concerti raveliani si trova oltretutto nel suo elemento naturale, tra una scrittura molto brillante in cui lei si destreggia con assoluta disinvoltura in virtù di uno scatto digitale che ha pochi termini di paragone tra i pianisti di oggi, e un lirismo pieno di seduzioni. Al suo fianco a Stresa c’era l’Orchestre Philharmonique de Radio France, la quale senza essere una macchina da guerra al pari delle grandi orchestre tedesche è una compagine duttile e sempre a suo agio nel repertorio francese, che a Stresa era guidata dal ventitreenne finlandese Tarmo Peltokoski, come molti giovani direttori di oggi uscito dal vivaio dell’ormai leggendario Jorma Panula.
C’erano i presupposti per un grande successo e successo è stato, anche perché Yuja Wang era in uno stato di grazia. Lo si è capito immediatamente dall’effervescenza delle prime battute del Concerto in SOL, quindi dal lirismo sensuale e sognante del secondo tema e dalla disinvoltura con cui ha affrontato i cambiamenti d’umore che punteggiano la partitura. La verve espressiva di Yuja Wang non è la vitalità ferina di una Martha Argerich e non è la sensualità travolgente di una Hélène Grimaud; il suo è piuttosto un gioco di riflessi sulla tastiera, un continuo incessante dialogo con l’orchestra fatto tutto di piccoli gesti e di allusioni. Nell’aspetto Tarmo Peltokoski dimostra meno dei suoi ventitré anni e sul podio si muove con la sicurezza e con la rigidità dei primi della classe che fanno sempre benissimo i compiti; ancora gli mancano la duttilità nel gesto e gli slanci della fantasia per rendere in modo davvero convincente i due concerti raveliani e non ha mostrato di possedere particolari guizzi timbrici in un’interpretazione molto ordinaria, nella seconda parte della serata, della trascrizione orchestrale raveliana dei Quadri di una esposizione di Musorgskij, i quali sono stati un poco penalizzati anche dall’acustica della Stresa Festival Hall, che è decisamente migliorata dopo i recenti interventi di restauro ma che va in crisi quando sul palcoscenico c’è un’orchestra dall’organico ampio, tendendo a schiacciare i suoni. Tarmo Peltokoski, però, è anche un valido pianista, come ha dimostrato nel primo dei due bis, una versione a quattro mani di Libertango di Piazzolla suonata con disinvoltura e senza timori reverenziali al fianco della Wang, la quale poi si è congedata dal pubblico con una pagina iper-virtuosistica e iper-scintillante di Nikolai Kapustin, il compositore sovietico che amava il jazz scomparso nel 2020. Ha concesso un bis anche l’orchestra, ancora Ravel e ancora una trascrizione, Le jardin féerique da Ma mère l’oye che il compositore scrisse originariamente per pianoforte a quattro mani, e proprio nel bis la compagine francese ha trovato quegli equilibri timbrici che non sono stati raggiunti del tutto nei Quadri.
Con Yuja Wang erano invece perfetti sia gli equilibri timbrici sia quelli dinamici, in particolare nel Concerto in RE per la mano sinistra il cui grado di difficoltà è altissimo ma che la pianista cinese ha affrontato in assoluta scioltezza, facendo sembrare non solo semplici ma anche naturali perfino i passaggi più complicati, soprattutto la cadenza. Erano da ammirare l’incisività del tocco, la brillantezza del gioco digitale e la sinuosità del fraseggio, come erano da ammirare la qualità del legato e il raffinatissimo uso del pedale di risonanza. È stata un’interpretazione elettrica – anche nello stacco dei tempi: rapidissimi – come è stata elettrica l’interpretazione del Concerto in SOL, il cui unico punto debole era un secondo movimento impreziosito e appesantito da continui sfasamenti tra il basso e la melodia e da una insistenza sui dettagli che finiva per ostacolare la fluidità del fraseggio, ma il cui movimento conclusivo è stata una vera e propria girandola sonora, con un’orchestra cristallina nel suono e una solista che sembrava avere l’argento vivo addosso.
Luca Segalla