ROSSINI Il barbiere di Siviglia P. D’Aloia, P. Martella, M. Gaudenzi, S. Damien Park, M. Moncada, N. Wacker, G. De Luca; Orchestra e Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala, direttore Evelino Pidò regia Leo Muscato scene Federica Parolini costumi Silvia Aymonino
Milano, Teatro alla Scala, 11 settembre 2023
Per tutte le recite di questo Barbiere, la Scala è sold out: anzi, lo è praticamente per tutto quello che al Piermarini si sia rappresentato nei mesi scorsi o sia in cartellone nei prossimi. Un buon segno, certo, ma io avverto il rischio che questo cannibalizzi la vita musicale milanese, ossia tutte quelle istituzioni che non possono contare sulla forza senza pari del marchio-Scala: perché è fuor di dubbio che una parte (grande o piccola non so dirlo) di chi entra in teatro lo fa per il fascino del mito scaligero, magari per postare qualche foto sui social, ed è piuttosto indifferente a quanto vi si rappresenti. Che in questo caso era la ripresa del Barbiere che proprio due anni fa ebbe il coraggio di spodestare dopo troppi anni il mitico allestimento di Ponnelle (mito più che giustificato, si badi bene: ma nulla è eterno, men che meno a teatro) per proporre, grazie a Leo Muscato, uno spettacolo molto ben riuscito, che gioca sul tema del teatro nel teatro con garbo e intelligenza. Peccato che questa ripresa, con i complessi e i cantanti dell’Accademia scaligera, non mi sia parsa della stessa qualità originaria: più macchiettistiche talune situazioni, meno fluida la narrazione, meno caratterizzati i personaggi. Se nel 2021 c’era sul podio Riccardo Chailly col suo Rossini sotto molti punti di vista “vecchio stile”, ma validissimo per idee e capacità di realizzazione, qui abbiamo Evelino Pidò che, grazie ad un’orchestra dell’Accademia che quest’anno sembra davvero eccellente (è come il vino: ci sono annate buone e meno, e quest’anno si apprezzano soprattutto gli archi compatti e luminosi), imposta una narrazione leggera e briosa, con un dosaggio sapiente delle dinamiche e un fraseggio sempre pertinente, frutto evidente di lunghe prove.
Sul palcoscenico c’era il secondo cast, formato – a differenza del primo – interamente da ragazzi non ancora in piena carriera e formatisi all’Accademia: luci ed ombre, come è ovvio, ma al di là di questo ho notato con sorpresa un gusto un po’ all’antica, quello più comune quando Rossini era ancora un oggetto misterioso, qualche decennio fa. Tale era la sensazione ascoltando il tenore Pierluigi D’Aloia e la sua vocina pur garbata, piacevole, molto leggera (giusto quindi il taglio di “Cessa di più resistere”) e dall’accento che alterna fra il sentimentale e il caricaturale: una sorta di Luigi Alva in miniatura. E similmente Matías Moncada riproponeva il vecchio Basilio “mangiafuoco”: però non avendone la statura vocale, deficitaria soprattutto in acuto. Molto efficace il Bartolo di Pierpaolo Martella, mentre di Sung-Hwan Damien Park (Figaro) si dovrebbe dire bene per una vocalità sana e una spiccata capacità di reggere la scena: peccato che la sensazione di mancanza di idiomaticità quando un cantante orientale incarna un personaggio siffatto sia impossibile da schivare (ribaltando i termini si parlerebbe di “appropriazione culturale”: Dio non voglia!). Corretta la Berta di Nicole Wacker, mentre Mara Gaudenzi – già eccellente Fidalma nel Matrimonio segreto dello scorso anno – conferma l’impressione positiva che ne avevo avuta, ma non sono sicuro che Rossini sia il suo autore, vista la molta prudenza nel canto di coloratura. E complessivamente credo che con una compagnia di giovani funzioni meglio produrre uno spettacolo ex novo (come l’anno scorso con l’opera di Cimarosa) che riprenderne uno già presente in repertorio.
Nicola Cattò
Foto: Brescia/Amisano – Teatro alla Scala