Guy Ben-Ary, Nathan Thompson, Darren Moore, Andrew Fitch, Music for Surrogate Performer
Venezia, 25 ottobre 2023
Nel film di fantascienza Solaris diretto da Tarkovskij, tratto dal romanzo pubblicato nel 1961, vediamo i personaggi che comunicano in casa e in auto attraverso un video, una sorta di televisore. L’autore non aveva immaginato che la tecnologia potesse evolversi in un’altra direzione e che un giorno piccoli telefoni appoggiati sul palmo della mano avrebbero permesso di parlare e vedersi. La grande immaginazione degli scrittori, ma anche la nostra personale fantasia a volte non riescono a concepire come la tecnologia possa aprire scenari interamente nuovi. Micro-Music era il titolo di questa Biennale Musica dedicata al suono digitale, alle esplorazioni all’interno del suono e ad un nuovo modo di ascoltare. Una concezione così proiettata in avanti rischiava di avere un successo limitato: così non è stato e, a Biennale conclusa, i dati relativi alle presenze e i commenti critici ne hanno decretato il successo. Considerato lo sviluppo della tecnologia e lo spazio sempre più grande occupato dalla Intelligenza Artificiale, possiamo interrogarci sulle possibilità offerte dal computer come ausilio alla composizione o come suo sostituto dal momento che, stabiliti una serie di criteri, la macchina può generare da sola una composizione sostituendosi all’uomo (non è un caso che John Cage abbia dimostrato da subito grande interesse verso le possibilità offerte dal questo aggeggio allora primitivo). Il concerto di cui vogliamo parlare è però al di fuori delle categorie finora immaginate, in breve sembra aprire un varco nello stesso modo di concepire la creazione e l’esecuzione della musica. Alla base di Music for Surrogate Performer è un “pezzo” del compositore sperimentale Alvin Lucier (al quale il concerto rende omaggio), concepito nel lontano 1965: Music for Solo Performer. In questo lavoro, che meglio sarebbe definire evento, Lucier sperimentava la connessione tra l’attività cerebrale e la generazione del suono. Il musicista sapeva dell’esistenza del “ritmo alfa”, una oscillazione delle onde cerebrali fra 8 e 12 vibrazioni al secondo e che corrisponde ad uno stato contemplativo, di calma. In Music for Solo Performer alcuni elettrodi situati sul cuoio capelluto del compositore catturavano questo ritmo e lo inserivano in una rete di strumenti a percussione; in questo modo veniva per così dire superata la figura dell’esecutore, perché il risultato sonoro dipendeva direttamente dall’attività cerebrale del compositore, senza intermediari. Music for surrogate performer riprende alcuni concetti alla base di quell’esperimento: l’esecutore è un non umano, e le sue componenti musicali sono condizionate da un cervello conservato in vitro. Nel 2015 un gruppo di scienziati e musicisti ha avviato un progetto, cellF, che abbina materiale biologico a circuiti elettrici, in altre parola il “cervello”, costituito da cellule neuronali viventi e coltivate, controlla in tempo reale una serie di sintetizzatori. Negli anni in cui si è sviluppato questo progetto, in più occasioni musicisti umani sono stati invitati a suonare con cellF. Quello che è importante tenere presente è che cellF non è una macchina che lavora guidata dall’intelligenza artificiale: è una “intelligenza in vitro” che funziona come cervello al di fuori del corpo. Music for Surrogate Performer si ricollega a quel progetto ed è partito dalla collaborazione con Lucier: nel 2020 il musicista ha donato il suo sangue, dal quale sono stati estratti globuli bianchi tradotti in cellule staminali: queste ultime sono state trasformate in reti neurali viventi, chiamate da Ben-Ary e dai suoi collaboratori “cervelli in vitro”.
Nel 2021 Lucier è morto ma il progetto, anche dietro la sua volontà, è andato avanti, e quella di Venezia rappresenta una tappa di un percorso che si concluderà nel 2025. Nella sala delle Colonne di Ca’ Giustinian (per la cronaca, la stessa dove ha avuto luogo la consegna del Leone d’oro a Brian Eno) lo spettatore si trovava davanti il sintetizzatore con il “cervello in vitro”, una serie di strumenti a percussione isolati nello spazio d’ascolto (tamburi, tam tam, timpano) che riproponevano un organico simile a quello di Music for Solo Performer, e una batteria di percussioni. Lo spettatore, che poteva spostarsi liberamente nella sala, poteva notare come alle singole percussioni era collegati altoparlanti conici il cui movimento, probabilmente come nel lontano esperimento di Lucier, serviva ad azionare le membrane, e microfoni che amplificavano il suono poi proiettato nello spazio; alla batteria era Darren Moore che improvvisava, creando un dialogo con il sintetizzatore. Dal punto di vista dell’ascolto l’effetto è stato spettacolare, anche per la bravura del solista, e non senza meraviglia si vedevano singole percussioni che, per così dire, agivano da sole, ossia governate dal sintetizzatore, definito da Ben-Ary il primo sintetizzatore neurale al mondo. Si noti come nell’evento non siano stati impiegati computer ma circuiti elettrici: in questo processo analogico il “cervello” viene sollecitato dalle improvvisazioni e le sue reazioni condizionano il risultato finale. Questo progetto, non a caso denominato “Revification”, apre prospettive incredibili: è possibile che nel “cervello in vitro” vi sia una qualche memoria del compositore morto e che in futuro questo dato possa trasformarsi in azioni più estese. L’ascolto e l’elemento visivo erano di forte impatto (si pensi all’idea di avere davanti un sintetizzatore pieno di fili, e a cosa conteneva quella sorta di piastra): a esperienza conclusa, resta l’impressione che si sia aperto uno scenario che 20 anni fa nemmeno poteva essere immaginato e che certamente, anche a livello etico, si apriranno nuove prospettive e nasceranno nuovi interrogativi.
Gabriele Moroni