Con l’omaggio a Giacomo Carissimi per il trecentocinquantesimo anniversario della morte, si conclude il Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra
Roma, Chiesa di S. Ignazio di Loyola in Campo Marzio, 7 novembre 2023
Il programma del XXII Festival Internazionale di Musica e Arte Sacra ha visto quest’anno due eventi di particolare spicco: la Missa Redemptionis di Lorenzo Perosi, diretta da Valentino Miserachs Grau in quella Basilica di Sancta Maria ad Martyres, più comunemente detta Pantheon, finora rarissima ad aprirsi ad eventi musicali; e L’esercizio dell’Oratorio, ovvero due brevi oratori di Giacomo Carissimi giustapposti ed eseguiti da Flavio Colusso nella Chiesa di S. Ignazio di Loyola in Campo Marzio, con il suo Ensemble Seicentonovecento, la Cappella Musicale di S. Maria dell’Anima e numerosi solisti. Altri concerti prevedevano pagine ben più note e fruite (Mozart e Beethoven) a San Pietro, a San Paolo fuori le Mura e a Santa Maria Maggiore.
Il maggior interesse s’appuntava per noi sul concerto di Colusso e sui due oratori di Carissimi: Sponsa Canticorum “Dialogo a quattro” e Vanitas vanitatum “Contemptus mundi”. Il primo è evidentemente tratto dal Cantico dei cantici, opera del Canone Cattolico convenzionalmente attribuita al re Salomone, ma di lui certo (non molto) più tarda. Sei Symphoniae strumentali ne scandiscono le strofe prescelte, quelle in cui lo Sponsus si rivolge alle Filiae Jerusalem, tre diverse voci femminili che a turno incarnano la Sponsa, invitandole a seguirlo. La musica vi è un autentico gioiello di estetica barocca, con il canto della triplice (e per ciò appena misteriosa) Sponsa,che ha inflessioni languidissime, doviziose di suggestioni di sospiri, mancamenti, aneliti di desiderio ora sommessi, ora più ardenti: e in specie nel virtuosistico “Audivi dilectam” della Sponsa I, con quel vero culmine erotico che è “Veni ergo, non tardare et dolentem consolare”. Il canto dello Sponsus è invece più volitivo, spesso maestoso e sonoro, quasi una virile teofania d’affresco. Ed è in tal guisa che nel mirabile, paradisiaco finale le tre voci muliebri son parse svolazzargli intorno, suadenti e angeliche al tempo stesso.
Faceva da cesura tra questo e il successivo oratorio, la lettura di una breve Meditazione quaresimale (ma anche assai concreta e moderna) del celebre gesuita Paolo Segneri (una delle colonne spirituali della Roma seicentesca e dell’Accademia della Crusca), nel quarto centenario della nascita.
Vanitas vanitatum ossia “Contemptus mundi” è invece scandito da cinque Symphoniae e desume il testo dal libro del Qoèlet (in antico detto Ecclesiaste), facendone propria la riflessione più ricorrente ed al tempo stesso tormentata: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”. È questa nelle mani di Carissimi una sorta di “tragicommedia”, d’andamento e scopo più certamente popolare della Sponsa canticorum, ma nella sua ripetitività destinato ad esser quasi un sermone per musica destinato ai fedeli della Chiesa dell’Apollinare o dell’Oratorio della Vallicella o del SS. Crocifisso, ove il compositore di Marino a lungo operò. La paternità della composizione non è messa in dubbio né dal Grove, né dall’Headley, ma questi fa notare come il successo ne sia stato tale da influenzare opera analoghe di Luigi Rossi e di Marco Marazzoli. Qui lo stile è giustamente più castigato, ma la costruzione non è priva di elaborazione e simbologie, oltre ad essere senz’altro grandiosa nello spiegamento di solisti, coro e strumenti.
L’esecuzione d’entrambi i titoli è stata di quel livello d’assoluta eccellenza cui Flavio Colusso in tal ambito ci ha abituati: e ne fanno testo i nove CD dell’integrale degli oratori del Carissimi da lui realizzata per la Brilliant. Qui egli, nell’Ensemble Seicentonovecento, s’avvaleva di nomi di spicco quali Michele Vannelli all’organo (è il titolare di S. Petronio a Bologna) e di Andrea Damiani alla tiorba, oltre ad alcuni pregevoli giovani agli altri strumenti e a ben sei ottimi cantanti tra i quali vanno citati almeno la formidabile Margherita Chiminelli (Sponsa I) e il baritono Mauro Borgioni. Il piccolo coro di Santa Maria dell’Anima a Roma è ben noto per la sua forbitezza, sì che la cultura e il braccio vivissimo di Colusso hanno dato luogo ad una performance non solo musicalmente più che accattivante, ma superbamente collocata in quella autentica meraviglia di colori e di volumetrie che è l’abside della Chiesa di Sant’Ignazio. Non a caso questa, nonostante le sue dimensioni, affollata di pubblico entusiasta.
Maurizio Modugno
Foto: © Musacchio & Fucilla / MUSA