MOZART Die Zauberflӧte D. Auguštan, P. Nevi, N. Wacker, A. Cacciamani, V. Nizzardo, C.M. Fiorani, M. Nardis, L. Ytian, F. Gruni, E. Filipponi, A. Colaianni, V. Shevchenko, G. Moro, C. Trevisan, F. Clemente, M. Lombardi, G. Di Canito, L. Silvestre, F. Paccorini; Coro e Orchestra del Teatro Verdi di Trieste direttore Beatrice Venezi regia, scene, costumi Ivan Stefanutti luci Emanuele Agliati.
Trieste, Teatro Verdi, 7 dicembre 2023
Nella stessa sera del grande rito scaligero e della gaudiosa celebrazione del canto lirico come patrimonio universale (lo si era sempre saputo e sostenuto, ma ora è diventato de jure), spuntava sorniona (a esorcizzare quasi la discussa Manon Lescaut inaugurale) questa suasiva Zauberflӧte, coprodotta con i teatri di Lombardia e con l’Opera del North Carolina: a conforto del pubblico triestino che sei anni prima era stato turbato dalla fantasia sovversiva di Valentina Carrasco. Ma questo è il proteiforme potere occulto del Flauto magico, che può essere spettacolo grandioso e saggio scolastico, metafora massonica e divertissement per bambini, opera e Musical come nella versione digest di Julie Taymor al Met. Legittimo dunque che per il Singspiel mozartiano sia stata ora adottata una versione mista: cantata in lingua originale ma con le parti di prosa in italiano (versione di Stefano Simone Pintor). In linea di principio Ivan Stefanutti, che firma scene, costumi e regia dello spettacolo, sarebbe vicino al Visionario della Taymor, non fosse che per Zauberflӧte preferisce usare il filtro dell’essenzialità e della delicatezza. La immerge in un notturno stellato (che Sarastro ricondurrà alla luce) in un Oriente di fiaba, abitato da creature che parlano un linguaggio gestuale di fantasia, fluttuando nelle loro tuniche e nei loro veli cilestrini, un poco Aladino, un poco Perla di Labuan. Tra leggeri elementi scenici mobili e trasparenti simbologie il percorso iniziatico di Tamino si avvia e si conclude entro una delicata misura formale. Il gusto illustrativo di Stefanutti si sbizzarrisce senza debordare: l’ironia diventa funzionale nei tre corvacci umanoidi estranei alla fauna di Papageno, nelle tre Dame, nel veicolo dei tre Geni come idoli indiani di porcellana. Sul podio Beatrice Venezi seconda i giusti equilibri della partitura. Ne scaturisce un’esecuzione lineare e nel complesso gradevole. Vi manca solo il mistero dello Stupore lirico che Mozart dissemina nel capolavoro e che a volte si rivela o si rivelava nell’antico lavoro “di sala”: pratica che avrebbe potuto per esempio restituire soavità all’aria di Tamino “Dies Bildnis ist bezaubernd schön”. La compagnia di canto è per altro ben assortita ed omogenea. A cominciare dalla Pamina davvero incantevole del soprano croato Darija Auguštan, modello di limpidezza e di fraseggio in ogni momento dell’opera. Paolo Nevi (Tamino) è tenore che manterrà senz’altro le promesse del tuo talento quando non forzerà (come avviene invece nell’aria del primo atto) la propria emissione e ne avrà consapevolezza stilistica.
Esce vittoriosa dalla prova impervia quell’Astrifiammante cui di solito si affida gran parte del buon esito dell’impresa: Nicole Wacker non solo mette a segno i suoi dardi acuminati, ma sfodera il più agguerrito temperamento. Prestanza e nobiltà vocale assistono il giovane basso Alessio Cacciamani nei sacerdotali manti di Sarastro, erede del Seneca monteverdiano. Ma tutto il settore dei bassi è di rilievo: dallo Sprecher (Liu Ytian) ai sacerdoti e agli uomini armati cui Mozart in poche battute consegna quasi un enigma tonale inquietante. Esce brillantemente e senza strafare dai canoni viennesi dell’uccellatore il Papageno di Vincenzo Nizzardo. Il terzetto delle Dame è una delle idee più gustose confezionate dalla produzione triestina: tutte e tre (Francesca Bruni, Eleonora Filipponi, Antonella Colaianni) ne fanno un numero originale e di arguta finezza sotto la patina lunare. Pungente la caratterizzazione di Papagena (Chiara Maria Fiorani) e inedito il robusto Monostato di Marcello Nardis laccato come un opulento vaso cinese. Con questa produzione il teatro Verdi inaugura anche una lodevolissima iniziativa: la collaborazione con il Conservatorio Tartini, dal quale provengono con pieno merito le tre giovani cantanti. Tutti partecipi (orchestra e coro compresi) di un unanime successo finale e delle vivaci chiamate in coda allo spettacolo.
Gianni Gori