BEETHOVEN Sonata n. 27 op. 90 CHOPIN Notturno op. 48 n. 2; Fantasia op. 49 BRAHMS Ballate op. 10 PROKOFIEV Sonata n. 2 op. 14 pianoforte Evgeny Kissin
Milano, Conservatorio Giuseppe Verdi, 20 gennaio 2024
Una sala gremita come raramente ci è stato dato di vedere negli ultimi anni ha accolto l’ingresso di Evgeny Kissin sul palcoscenico della Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Ultimo, in ordine cronologico, dei suoi concerti in memoria di Antonio Mormone, che di Kissin curò il debutto in Italia alla fine degli Ottanta — nel 1988, appena diciassettenne — e il cui sguardo amorevole fu sempre attento all’evoluzione artistica del Wunderkind nato a Mosca nel 1971, allievo di Anna Pavlovna Kantor, che a soli dodici anni incise i Concerti op. 11 e op. 21 di Chopin con la Moscow Philarmonic Orchestra diretta da Dmitri Kitaenko, destando la meraviglia in tutto il mondo musicale internazionale. Per questa serata un programma eterogeneo, con un percorso da Beethoven a Prokofiev, attraverso Chopin e Brahms.
Fin dalle prime persuasive note della Sonata op.90 di Beethoven, al reiterarsi, in una sonorità imponente, del tema del Lebewohl, la terza riempita discendente, l’interpretazione di Kissin si è distinta per una dizione di una meticolosità inaudita: un saggio di articolazione di fraseggio inscritto in una pulsazione ritmica di didascalico rigore che avrebbe certamente trovato il plauso, se fosse stata presente, di Sandra Rosenblum, autrice di alcune pagine di riferimento sulla prassi esecutiva nella musica pianistica dell’epoca classica. L’incredibile accuratezza di dettaglio del Mit Lebhaftigkeit und durchaus mit Empfindung und Ausdruck d’esordio ha quindi lasciato il posto ad un secondo movimento di fluidità avvolgente dove, all’indicazione beethoveniana sehr singbar (molto cantabile), ha fatto per la prima volta capolino un legato di esemplare ampiezza e bellezza di suono, esaltato dai controcanti al basso, cantabili ed espressivi tanto quanto la voce guida.
Non meno limpido il piano interpretativo del gruppo chopiniano costituito dal Notturno in fa diesis minore op. 48 n. 2 e dalla Fantasia in fa minore op. 49. Di una lentezza ipnotica fuori dal tempo, il Notturno è vissuto di una intensità espressiva senza zone d’ombra. In uno studiato avvicinamento tra la pulsazione dell’Andantino con affetto iniziale e quella del Molto più lento della sezione centrale, grande è stata la lezione pianistica sulla tecnica del legato: azione del dito sempre a fondo tasto, a creare un suono scuro, continuo che anche nei grandi punti culminanti, potenti, è sempre rimasto controllato e bellissimo. L’op. 48 n. 2 ha assunto così una dimensione epica che ha travalicato la dimensione della pagina di genere per assumere una cifra tragica e, al contempo, trasfigurata. Di seguito, la Fantasia op. 49, che è stata illuminata attraverso la teatralità sublimata di alcuni stilemi tipici del melodramma — marcia, corale, recitativo — e passi di accentuato virtuosismo di bravura, di agilità digitale come di doppie note e doppie ottave, difficoltà tecniche tutte risolte da Kissin con superiore, imperturbabile dominio. Una teatralità che, dopo il suggestivo, pietrificato trio centrale Lento, Sostenuto in stile di corale, ha trovato il suo momento apicale Adagio sostenuto finale, prima della coda Allegro assai: un pedale lungo, tenuto a partire dall’armonia al basso, in cui i detriti di recitativo sono risuonati con lancinante evidenza.
All’inizio della seconda parte, le Ballate op. 10 di Brahms hanno rappresentato l’indiscusso apice interpretativo della serata. Ancora una volta la cifra espressiva dell’esecuzione ha trovato la sua essenza profonda nella natura del suono prescelto, qui vicino a quella tradizione pianistica russa che ha avuto in Emil Gilels il suo massimo esponente: una sonorità talvolta scultorea ma anche semplicemente densa, cantabilissima e di grande ampiezza, che non ambisce alla monumentalità come in Sokolov, pur essendo altrettanto imponente, né pretende di diventare veicolatrice di estremi espressivi, dall’intensità violenta alle più diafane rarefazioni, come in Richter. Più che attraverso le atmosfere premahleriane del trio della Terza Ballata, quindi, il poeta Kissin si è rivelato compiutamente nell’estenuata lentezza della Ballata n. 4, staccata ad un tempo ancor più lento che da Benedetti Michelangeli, che di questo pezzo, psicologicamente, aveva una visione più malata, decadente, ambigua, stratificata nei significati e rivelatrice di pulsioni complesse. Kissin ha delibato suono per suono come se volesse attaccarsi alla sublime bellezza dell’istante, nella sua pura essenza. All’arrivo del Trio, il momento più commovente: quando nella sezione centrale è apparso il controcanto alla sinistra, in cui l’espressione, fatta di intime, lacerate risonanze tra le voci, si è fatta abissale. Una lacerazione emotiva che non ha indugiato al ripiegamento ma che è stata esposta per come è, con semplicità, all’attenzione del pubblico. Nudità senza compiacimento, verità senza filtro, dolore senza ripiegamento.
Un brusco cambio di scena nella sonorità, d’improvviso asciutta, acre e crepitante – Kissin prende più che alla lettera l’iniziale non legato indicato in partitura — segna il passaggio all’universo di Prokofiev. Di quel Prokofiev in cui l’espressione guarda al classicismo come al modernismo, ma che strizza anche l’occhio al fiabesco e all’universo mimico-espressivo del balletto. Sugli elementi lirico e grottesco ha prevalso certamente la linea toccatistica-motoria, particolarmente travolgente nel Vivace conclusivo in cui, dopo uno sviluppo punteggiato dall’ossessiva reiterazione di un do diesis in sforzato, il superbo dominio della sovrapposizione motivica delle crepitanti ultime pagine, resa dal pianista russo percepibile in ogni dettaglio senza alcuna attitudine aggressiva, ha fatto gridare al miracolo.
All’indomani di un programma di recital irto di difficoltà e tuttavia abbastanza conciso, in un passato non troppo remoto il pianista russo dava il via ad una sequenza di fantasmagorici fuochi d’artificio: diversi anni or sono, in una indimenticabile serata, i bis furono più di quindici, tant’è vero che il concerto finì abbondantemente oltre la mezzanotte. Oggi il cinquantaduenne Kissin ha invece proposto, in coda al suo recital, piccoli bon bon legati a tre dei quattro autori in programma: la Mazurca in la minore op. 67 n. 4 di Chopin, la Marcia da L’Amore delle tre melarance di Prokofiev e, last but not least, il Valzer in la bemolle maggiore op. 39 n. 15 di Brahms, poetico addio a quel pubblico che gli ha decretato un vero e proprio trionfo. Trionfo che il pianista russo ha accolto con un sorriso disarmante: gambe e braccia leggermente aperte, espressione del viso luminosa che denunciava tutta la felicità per essere stato visto e compreso, tutta la gioia della riuscita comunicazione di sé e del proprio mondo interiore. Accanto all’uomo nella sua piena maturità, è così riapparso, fuggevolmente, il Wunderkind. Commovente.
Silvia Limongelli