MOZART Die Zauberflöte A. Vinogradov, M. Mezzaro, A. Siminska, G. Fiume, G. Bolcato, M. Patti, M. Macchioni; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, direttore Gianna Fratta regia, scene e costumi Ivan Stefanutti
È un Flauto magico che ricalca essenzialmente la favola di Schikaneder che si insegna ai bambini quando li si mette per la prima volta a confronto con il capolavoro mozartiano, quello che Ivan Stefanutti, regista di buon nome e titolato, con l’assistenza alla regia, alle scene e ai costumi di Filippo Tadolini, ha voluto imprimere alla sua messa in scena. Dunque, assorbiti i pochi elementi massonici che appaiono nel testo, in tedesco, con le scene parlate in italiano, Stefanutti ci presenta una scena unica, piuttosto elegante, con colonne dorate agli estremi del palcoscenico e con in mezzo un fondo scena su cui vengono proiettate alcune immagini. Poi, a distinguere il regno di Sarastro, una cancellata che si alza e si abbassa. In questa produzione il responsabile dello spettacolo sembra ispirarsi al Pizzi contemporaneo e seguirne lo stile sobrio e sontuoso allo stesso tempo.
Nello spazio scenico si consuma la vicenda, che sta in piedi grazie ai recitativi in italiano, che ne spiegano un po’ gli intrecci, e grazie alla disinvoltura di alcuni protagonisti che ben figurano nella parte espressiva dei loro compiti. Primo fra tutti il Papageno di Michele Patti, che con voce ferma e timbrata, affronta il ruolo con un sapere scenico invidiabile. Recita e canta da vero interprete e si atteggia a cinico utilitarista che affronta la vita con dedizione al vino e alla pagnotta, piuttosto che alle gioie dell’intelletto (come l’amore). A render credibile ancora i personaggi, il Sarastro di Alexander Vinogradov. Il giovane basso russo dà voce autorevole e carisma al Re indossandone la doppia veste di tiranno prima e di detentore di saggezza poi. Nel ruolo del basso profondo Vinogradov è a suo agio e ne esce bene nonostante le note più gravi della tessitura siano prese per il bavero. La Regina della notte è parte determinante della vicenda e protagonista negativa e fortemente connotata dalle sue arie di furore. Anna Siminska non pare aver introiettato il personaggio e non riesce ad esprimere, con la sua voce piccola e inespressiva, i caratteri del personaggio. Fra l’altro, con l’accelerazione data alla sua “Der Hölle Rache”, per sfuggire alla temibile aria, fugge anche dall’Orchestra, creando non pochi problemi alla direttrice che la riprende solo dopo un po’. Gilda Fiume è una Pamina dal timbro assolutamente convincente e dal mezzo ben dosato e ricco di colori e di nuances, di filati e di fiato, pur un po’ ancora debole nel volume e nel carattere. Giulia Bolcato, Papagena, sembra ben dotata di voce e d’arte scenica. Anche le tre dame, Marianna Mappa, Francesca Maionchi e Marta Pluda, si definiscono assai meglio della loro regina, con un canto, anche d’assieme, perentorio ma con sfumature degne dei personaggi ben riusciti.
A dirigere l’Orchestra della Fondazione Arena di Verona e il preziosissimo Coro, preparato magistralmente da Roberto Gabbiani, Gianna Fratta con il suo gesto misurato e, permettetemi di dirlo, stereotipato, che trasmette un senso di disciplina ai professori d’orchestra, un suono organizzato e tenuto stabilmente mezzoforte. In assenza di dinamiche e agogiche determinanti, la conduzione è parsa un po’ scolastica, pur soddisfacendo complessivamente per colori e timbriche. Pubblico festante alla fine e plaudente ad ogni fine scena.
Davide Toschi
Foto: Ennevi