VERDI I vespri siciliani M. Olivieri, G. Sagona, P. Pretti, A. Esposito, M. Agresta, C. Vichi; Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo, direttore Henrik Nánási regia Emma Dante scene Carmine Maringola costumi Vanessa Sannino
Napoli, Teatro di San Carlo, 21 gennaio 2024
Come è noto, I vespri siciliani nella storiografia italiana si riferiscono alla ribellione dei palermitani contro la dominazione francese nel 1282 quando, il lunedì di Pasqua, il suono delle campane delle chiese che chiamavano i fedeli alla preghiera serale servì come segnale per i siciliani per iniziare una rivolta contro i loro occupanti. Verdi era riuscito a creare, su libretto originale in francese di Eugène Scribe (libretto peraltro molto criticato ai suoi tempi), un imponente grand-opéra, un genere che richiede magniloquenza e soprattutto ampio spazio dato a movimenti di massa, cori e balletti; questi ultimi, tuttavia, erano assenti in questa produzione, un taglio non indolore nell’economia generale dello spettacolo. La regista palermitana Emma Dante, con l’ansia, comune a molti registi, di attualizzare e leggere “altro” nelle storie narrate nei melodrammi, ha proposto un parallelo tra il dominio angioino di otto secoli fa e la Mafia di oggi, ricordando le vittime eccellenti siciliane della criminalità organizzata, con una poco sobria combinazione di colore locale, agguati mafiosi e riverente memoria dei caduti. La narrazione della regista si dipanava attraverso un caleidoscopio di immagini, rituali e rimandi a cavallo tra cronaca, storia e identità siciliana, spesso comprensibili solo per spettatori di mezza età (e italiani): una drammaturgia troppo minutamente didascalica, che entrava con molto sforzo dentro la grande architettura verdiana.
Il profluvio di suggestioni visive è iniziato durante l’ouverture, quando cinque pupi siciliani, apparentemente senza vita, vengono scaricati sul palco, per poi rianimarsi e combattere alla maniera, appunto, dei pupi. Poi, all’apertura del sipario, la scena si affollava di artisti del coro, ballerini e comparse, divisi tra soldati-mafiosi con tute appariscenti e pistole alla cintola, e popolani abbigliati con costumi tradizionali neri. Si accumulavano immagini e scene d’insieme ispirate alla cultura siciliana alta e bassa, tra folklore, cronaca e storia, dalle foto delle vittime della mafia ostentate come gonfaloni nelle processioni, ai monumenti marmorei più iconici della città, dai venditori di cibo di strada ai raid mafiosi, fino alle pareti coperte di sgargianti drappi dorati all’interno del palazzo del governatore.
È inoltre un peccato che si sia proposta la versione ritmica italiana, che si adatta a fatica ad una musica scritta per la prosodia del francese, che ha parole più brevi e sincopate; tutto ciò, unito, come si diceva, al fatto che il balletto delle Quattro Stagioni è stato amputato, ha fatto sì che l’originale Les Vêpres siciliennes, da magniloquente grand-opéra pensato per la scena parigina si sia trasformato in un melodramma molto italianeggiante.
Anche il cast, come il libretto e l’impianto scenico, era tutto italiano. Sia Piero Pretti nel ruolo di Arrigo che Maria Agresta nel ruolo di Elena si sono confrontati con personaggi dalla vocalità impegnativa. Arrigo richiede una voce tenorile che abbia la capacità di destreggiarsi in una tessitura acuta e di eseguire con facilità note di testa delicate. D’altro canto, la parte di Elena esplora un registro vocale estremo, in particolare nello scintillante bolero dell’atto quinto, “Mercé dilette amiche”, caratterizzato da complicati passaggi di coloratura e scale cromatiche che richiedono notevole agilità e tecnica. Tuttavia, pur se il ritratto di Arrigo da parte di Pretti mancava di una qualche finezza e le note più acute della Agresta suonavano un po’ forzate, in generale le loro prestazioni sono state di grande professionalità.
L’interpretazione di Guido di Monforte da parte di Mattia Olivieri non ha molto impressionato. Al netto delle ottime doti vocali, il suo colore baritonale non trasmetteva l’energia emotiva del personaggio, diviso tra lo spietato tiranno e il tenero genitore; insomma, si sentiva la mancanza del carisma tipico di un baritono verdiano. Tuttavia, nell’aria del terzo atto “In braccio alle dovizie”, Olivieri ha saputo prodursi al meglio nel rendere la gioiosa emozione della paternità appena scoperta. Il basso Alex Esposito ha conferito una presenza vocale imponente al ruolo di Procida, il sobillatore siciliano di ritorno dall’esilio, cantando l’aria “O tu Palermo” con straordinaria profondità e sincerità di accenti. Per quanto riguarda la direzione d’orchestra, le grandi aspettative che c’erano per Henrik Nánási sono state soddisfatte solo in parte. Il direttore ungherese ha guidato l’Orchestra e il Coro del San Carlo (preparato dal nuovo direttore Fabrizio Cassi) evidenziando qualche problema nella gestione d’insieme, non apparendo sempre attento alle sfumature orchestrali, né tanto saggio nella scelta delle dinamiche.
Lorenzo Fiorito