BYRON 200. An evening of music inspired by Lord Byron (musiche di Nathan, Schumann, Beethoven, Schubert, Mendelssohn, Loewe, Wolf) Ian Bostridge tenore Julius Drake pianoforte
Roma, Palazzo Doria Pamphilj, Salone del Poussin, Keats-Shelley House, 25 giugno 2024
In effetti il concerto organizzato dall’attivissima Keats-Shelley House per commemorare i duecento anni della morte di George Gordon Byron, è stato per il poeta inglese un vero invito a tornare in quella Roma dove egli aveva soggiornato l’ultima volta nel 1817, tra l’altro assistendo con raccapriccio ad alcune esecuzioni capitali in Piazza del Popolo. Scenario e tematica erano stavolta ben più sereni, come ormai poco s’incontra in una città ad oggi deturpata dai lavori in corso e dalla barbarica invasione d’un turismo becero, incontrollato e diuturnamente affamato. Non osiamo pensare ciò che avverrà per l’imminente Giubileo. Comunque, traversate compatte falangi di folla, siamo approdati nell’ancor tranquilla Piazza del Collegio Romano, ove l’incantato palazzo Doria-Pamphilj accoglieva un pubblico in prevalenza British per un concerto tra i più raffinati di un’année musicale ormai in chiusura. Vero è che affidarlo a Ian Bostridge era un “vincere facile”, viste le qualità non comuni del tenore londinese e l’esito dell’altro concerto da lui dato lo scorso 11 aprile al Teatro Sannazzaro di Napoli, insieme ad Antonio Florio e alla Cappella Neapolitana (vedi qui la recensione di Lorenzo Fiorito). Superati i sessant’anni, ma in perfetta forma vocale e fisica (il fratello intellettuale di Hugh Grant?), Bostridge ha alle sue spalle esperienze molteplici, musicali e non musicali. Laureato in storia e filosofia a Oxford e a Cambridge, ricercatore e docente di teoria politica e storia britannica del XVIII secolo, ha pubblicato diversi libri prima di dedicarsi professionalmente alla non resistibile vocazione alla musica e al canto, debuttando a ventisette anni con una serie di concerti alla Wigmore Hall, alla Purcell Room e al Festival di Aldeburgh e ottenendo particolari apprezzamenti per una Winterreise che diverrà presto il suo cavallo di battaglia. Ovviamente il palcoscenico lo ha presto chiamato ad interpretare Mozart e Händel come Bach e Vivaldi, Britten come Kurt Weill. Ad un’attività musicale tuttora densissima, Bostridge affianca un lavoro di editorialista e di scrittore, che ha visto diversi suoi titoli (soprattutto Schubert’s Winter Journey) tradotti in varie lingue (in Italia sono editi da Il Saggiatore) e più volte premiati. La moglie di Bostridge è la scrittrice inglese Lucasta Miller, tra l’altro una specialista di Lord Byron. Sì che a tal punto del discorso ci vien naturale di tornare al concerto Byron 200 a Palazzo Doria. Del quale ci ha subito colpito non solo l’opulenta bellezza del Salone del Poussin, ma anche e soprattutto la collocazione di tali musiche per voce e pianoforte in uno spazio dalle dimensioni e dall’acustica, non solo ideali, ma totalmente “filologiche”. È infatti per tale ampia intimità che la maggior parte dei massimi cicli liederistici sono stati pensati, da Mozart a Ciaikovski, da Schubert a Wolf: e non per una sala moderna da duemila o pur mille posti. Ogni dettaglio, ogni sfumatura, anche ogni grandiosa risonanza di slanci vocali e pianistici, qui aveva percorsi d’ascolto che osiamo dire imperfettibili. Il programma spaziava con coerenza e libertà attorno al tema centrale. L’inizio era ovviamente nel nome di Byron: con le Hebrew Melodies, committenza e musica di quella figura singolarissima che fu Isaac Nathan, nonché, per altri testi del poeta inglese, di Carl Loewe e di Robert Schumann. Seguivano ancora di Schumann, Zwei Venetianische Lieder, memoria opportuna di quella Venezia che fu la città più amata e più abitata da Byron. Quindi un opportuno omaggio all’altro grande romantico inglese, Walter Scott, con due Lieder di Schubert, Lied des gefangenen Jägers e Norman Gesang ed uno di Beethoven The return to Ulster. Bostridge, in grazia di un timbro assai personale, ma ricco di bei riflessi ora bruniti, ora argentei, ad una tecnica forbitissima e ad un vivo senso della parola cantata, ha penetrato fin nei minimi dettagli sonori ed espressivi questi primi dodici Lieder. Quando però ha tolto i l leggio e ha affrontato i primi cinque numeri della Winterreise, ci siamo resi conto d’essere di fronte ad un’interpretazione tra le massime di cui oggi si possa aver contezza (e seconda a pochi nomi di ieri) per un impatto drammatico di totale sconvolgimento drammatico e sin personale, in una sorta di recitazione davanti al pianoforte pur a tratti violenta.
Seguivano (in prima italiana) due Lieder (bellissimo Maria) dello svizzero Friedrich Theodor Frölich (suicida a trentatré anni nel 1836) e poi quelli dei suoi amici, i fratelli Mendelssohn, scritti su testi di Byron: Keine von der Erde Schönen e Schlafloser Augen leuchte di Felix; e Bright Be the Place of Thy Soul, There be none of Beauty’s daughters e lo stupendo Farewell di Fanny. Infine Hugo Wolf, anch’egli per i versi del fatale Lord: Sonne der Schlommerlosen e Keine gleicht von allen Schönen. Alla finezza e talora alla complessità di pagine dalle istanze assai variate, Bostridge ha risposto con una gamma d’accenti e nuances pressoché illimitata, spaziando dai sussurri quasi impercettibili ai parlati talora, fino agli acuti a voce piena e squillante. Quasi due ore intense di canto: e in verità un’esperienza musicale che mettiamo agli atti fra le cose migliori da noi ascoltate nell’ambito – sempre più raro nelle stagioni romane – del récital vocale da camera. Merito preclaro ne va dato anche al bravissimo Julius Drake, pianista prediletto da Bostridge (ma anche da Finley, da Prégardien, dalla Prohaska, dalla Fanyo) e che con lui procedeva in “un cuor solo e un’anima sola”. Dalle Ladies e dai Gentlemen presenti applausi interminabili e giustamente un solo bis concesso. A sera gli scorci illuminati della corte di Palazzo Doria Pamphilj erano d’assoluta suggestione.
Maurizio Modugno