Partono da Bolzano le “Seven cities” di Filippo Gorini

di Maggie S. Lorelli

Filippo Gorini (cr Simon Pauly)

Il pianista Filippo Gorini rappresenta una fresca quanto solida realtà italiana di respiro internazionale. Brianzolo, classe 1995, si forma con la pianista Maria Grazia Bellocchio al Conservatorio “G. Donizetti” di Bergamo, perfezionandosi in seguito al Mozarteum di Salisburgo con Pavel Gililov e divenendo poi allievo prescelto di Alfred Brendel. Sin da giovanissimo, inanella una serie di vittorie in importanti competizioni pianistiche come il Concorso Telekom-Beethoven di Bonn (2015), il Borletti-Buitoni Trust Award (2020) e il “Premio Franco Abbiati” della critica musicale italiana come miglior solista del 2022. Da lì un’inarrestabile ascesa concertistica lo porta, come solista o accompagnato da grandi orchestre quali l’Orchestra di Santa Cecilia di Roma, l’Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, l’Orchestra Verdi di Milano, l’Orchestra Sinfonica delle Fiandre e la Filarmonica di Gyeonggi di Seoul, a esibirsi in prestigiosi palcoscenici. Dopo i successi al Concertgebouw di Amsterdam, alla Konzerthaus di Vienna, alla Elbphilharmonie di Amburgo, alla Wigmore Hall di Londra, alla Fondazione Louis Vuitton di Parigi, alla Tonhalle di Zurigo e in numerose altre sale mondiale, nel maggio scorso ha debuttato con successo alla Scala di Milano e nel novembre prossimo lo attende la Carnegie Hall di New York.

Dopo aver inciso due dischi con Alpha Classics dedicati a Beethoven — le Variazioni Diabelli nel 2017 e poi nel 2020 le Sonate op. 106 e op. 111 (vedi MUSICA 317) — nel 2021 ha pubblicato, per la stessa etichetta, nell’ambito del progetto interdisciplinare, The Art of Fugue Explored, finanziato dal Borletti Buitoni Trust Award, il doppio CD dedicato all’Arte della Fuga, l’ultimo capolavoro bachiano rimasto incompiuto (recensione nel numero 332). Ne è scaturita la serie televisiva, disponibile su Rai Play, Ricercare sull’Arte della Fuga, un contrappunto di voci scandito da 14 episodi: 13 conversazioni, oltre a una dissertazione dello stesso Gorini, proprio come i 13 contrappunti e la fuga finale dell’impianto bachiano, con grandi personalità del mondo dell’arte e della cultura, in cui si investiga, da molteplici punti di vista, l’universo espressivo della musica di Bach, a partire proprio dalla sua ultima opera, nel contempo “fisica e metafisica”, per dirla con Alfred Brendel, uno degli autorevoli interlocutori insieme a Peter Sellars, Frank Gehry, Sasha Waltz, Steven Isserlis, Betül Tanbay, Leila Getz, Alice Mado Proverbio, Alexander Sokurov, Alexander Polzin, Dominique Eddé, Marcus Du Sautoy, Sasha Waltz e George Benjamin.

Attualmente il pianista concentra le sue energie in un multiforme progetto intitolato Sonata for 7 Cities, previsto per il biennio 2025-26, che propone un nuovo modo di intendere il concertismo, democratico ed etico, stabilendo delle residenze artistiche mensili in sette città del mondo, tra cui Vienna, Portland, Città del Capo, Hong Kong, Tokyo e Milano. In ogni residenza, incentrata su un recital e un concerto con un’orchestra locale, si stabiliscono collaborazioni con Istituzioni scolastiche, ospedali, carceri per portare la musica laddove spesso è difficile che possa arrivare: e questo progetto avrà una succosa anteprima al Bolzano Festival Bozen (bolzanofestivalbozen.eu), dove Gorini sarà protagonista, dal 20 al 29 agosto, di ben sei concerti.

Conosciamo questo fine intellettuale, oltre che musicista, in un ritratto a tutto tondo che illumina le diverse facce del suo prisma espressivo.

Nella sua formazione pianistica, quali sono stati i suoi Maestri?

Al Conservatorio di Bergamo ho studiato con una docente particolarmente adatta a me, Maria Grazia Bellocchio, cui sono ancora molto legato; la sento dopo ogni concerto e ogni volta che ho bisogno di un giudizio importante da una persona che mi conosce nel profondo. Subito dopo aver vinto il Concorso Beethoven, ho conosciuto Pavel Gililov e ho deciso di perfezionarmi con lui al Mozarteum di Salisburgo per un paio d’anni, dal 2016 al 2018. Con lui il mio suono si è ammorbidito e ho cominciato a prestare molta più attenzione all’ascolto. Contemporaneamente, ho cominciato a frequentare, varie volte all’anno, Alfred Brendel, che mi ha fornito numerosi spunti interpretativi. Oltre alla nostra passione comune per il contrappunto, Brendel mi ha instillato, unitamente all’abitudine di prendere il tè alle cinque del pomeriggio, l’interesse per la liederistica e l’ascolto del canto. Uno dei primi importanti consigli che mi ha dato è di smettere di imparare dai pianisti e di cominciare a imparare la cantabilità delle linee melodiche dai cantanti e dagli strumentisti ad arco.

Uno dei frutti maturi della sua formazione è la pratica dell’opera di Bach e, in particolare, dell’Arte della Fuga, uno dei capisaldi del suo repertorio che, attraverso le sue spiegazioni pre-concerto, rischiara sempre di nuova luce. Qual è il beneficio di una chiarificazione esplicativa?

Bisogna capire, da parte dell’ascoltatore, impegnato in un ascolto attento di un’ora e mezza di contrappunto, che in questo ciclo non è solo racchiuso un manuale di composizione della Fuga, ma che si tratta di un viaggio dagli albori della vita sino alla disgregazione, simboleggiata dalla fuga rimasta incompiuta alla morte dell’autore. Conoscere e comprendere l’humus culturale da cui sgorga questo lungo canto che si dipana in contrappunti sempre più intricati, sia strutturalmente che emotivamente, aiuta a predisporsi a un ascolto così complesso e intenso. Da un punto di vista più strettamente musicale, è importante creare piccole facilitazioni all’ascolto, come far ascoltare più volte il soggetto in maniera da memorizzarlo bene, per poi riconoscere più facilmente le entrate e i ritorni, che sono più di mille all’interno del ciclo.

Anche per chi non riesca a dipanare le trame del contrappunto, questo ascolto rimane un’esperienza mistica…

La sensazione è quella di trovarsi all’interno di una grande cattedrale barocca, o nel mezzo di un viaggio cosmico, o nella propria interiorità. Una meditazione profonda da cui si esce senza fiato: quando si arriva al silenzio finale, tutti rimangono sospesi per qualche istante, senza applaudire, come a voler prolungare quel silenzio.

Lei ha praticato quest’opera dapprima al clavicembalo. Fino a che punto può spingersi, invece, la libertà interpretativa di un pianista?

Aver avuto la possibilità di studiare l’Arte della Fuga al Conservatorio di Bergamo con Sergio Vartolo, che l’ha approfondita in tutti i sensi, da quello musicologico a quello interpretativo, arrivando a dedicarle una monografia [L’Arte della Fuga – Das große Clavierbuch für Anna Magdalena ovvero L’Arte della Fuga di Johann Sebastian Bach, Zecchini Editore, n.d.r.], è stata un’esperienza molto formativa, a partire dall’indicazione del Maestro di leggere la partitura come Bach l’ha impaginata, non su due righi ma nelle quattro chiavi antiche: ottimo esercizio per conoscere bene ogni linea della polifonia. Del resto, Bach stesso era un grande trascrittore: non si ha mai la sensazione di snaturare la sua musica eseguendola per uno strumento a tastiera piuttosto che un altro. Il pianoforte, tuttavia, grazie alla sua ricca varietà timbrica e dinamica, offre la possibilità di dare chiarezza e gerarchia alle voci, permettendo di realizzare appieno l’espressività richiesta dall’armonia e dal contrappunto bachiano.

Lei ha eseguito l’Arte della Fuga dal vivo più di 30 volte e l’ha incisa in un doppio CD per Alpha Classics. Ha nuovi progetti discografici in cantiere?

Sto progettando, attorno al progetto Sonata for 7 cities, una serie di registrazioni dal vivo dei recital che farò in ciascuna città: la scelta del repertorio pensato per questo progetto ruoterà attorno ai capolavori che ho affrontato più intensamente negli ultimi otto anni: Beethoven, Schubert, Brahms, Schumann, oltre alla presenza, in ogni città, di una nuova commissione contemporanea. Per quanto riguarda i progetti di più ampio respiro, ho in mente di suonare l’intero Clavicembalo ben temperato intorno all’autunno 2026, e poi si vedrà.

Dopo la pubblicazione del doppio CD dedicato all’Arte della Fuga, è nata la serie di documentari Ricercare sull’Arte della Fuga. Come ha scelto gli interlocutori?

Mi interessava dialogare con persone che sottolineassero l’impatto che la musica di Bach ha avuto nel loro lavoro, nelle loro ricerche e nella loro vita quotidiana, nella speranza che queste conversazioni possano motivare le persone ad ascoltare non solo l’Arte della Fuga, ma anche le Cantate, le Passioni e, in generale, tutta la musica di Bach. Ho operato una selezione piuttosto ampia di personalità appartenenti ad ambiti molto diversi tra loro: artisti, scienziati, strumentisti che avessero un rapporto prediletto con la musica di Bach e offrissero un’ottica personale e inedita su questo compositore. Dopo una lunga ricerca, ho fatto la scelta definitiva e sono arrivato all’impostazione finale del progetto dove c’è una mia introduzione e 13 conversazioni con 13 personalità diverse ma tutte, a loro modo, geniali.

Qualche esempio?

Con lo scultore, pittore e scenografo tedesco Alexander Polzin, ho approfondito i rapporti possibili tra la musica di Bach e l’arte contemporanea; ho poi raccolto i consigli e le osservazioni di Alfred Brendel sull’interpretazione al pianoforte della musica di Bach; dialogando con il regista di teatro e opera americano Peter Sellars ho scoperto, grazie al suo lavoro sulle Passioni secondo Matteo e Giovanni, una visione carica di umanità e empatia della musica di Bach, lontana dall’immagine rigorosa che spesso ne viene data; con il violoncellista inglese Steven Isserlis, abbiamo indagato l’elemento ritmico e le forme di danza presenti nella musica di Bach, che si ritrovano anche nelle sue opere sacre e così via, ad esaminare diversi aspetti delle musiche bachiane con le personalità intervistate.  

(cr: Simon Pauly)

Da figlio di scienziati, ha scelto tra gli interlocutori la neuroscienziata Alice Mado Proverbio dell’Università di Milano Bicocca. Cosa emerge da questa conversazione?

La conversazione con la dottoressa Mado Proverbio è stata particolarmente interessante: mi ha raccontato dei suoi esperimenti riguardanti i processi neurofisiologici legati all’ascolto della musica di Bach, che non ha solo un’impostazione logico-matematica, razionale, ma una cantabilità e un’espressività intrinseche tali da generare reazioni emotive poste dai ricercatori nella categoria “musica nostalgica, toccante, drammatica, struggente”. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, dunque, la musica di Bach ha una portata emotiva piuttosto forte.

Anche lei è stato sottoposto a un curioso esperimento mentre suonava con degli elettrodi sulla testa non solo i vari contrappunti dell’Arte della Fuga, ma anche musiche di Brahms e di Chopin. Ci può anticipare qualche risultato?

L’analisi di questi dati richiederà del tempo, ma alcune cose sono state evidenti sin da subito, come il profondo stato di concentrazione in cui mi trovavo mentre suonavo; la scienziata rilevava una totale assenza di onde alfa, condizione tipica di chi è coinvolto in compiti mentali intensi, oppure l’attivazione della corteccia motoria quando eseguivo passaggi più virtuosistici, o ancora l’evidenza di zone più legate all’emozione in brani in cui ero emotivamente più coinvolto. Sono concetti che noi musicisti intuitivamente abbiamo sempre saputo, ma l’interesse sta nel rintracciarle esattamente a livello cerebrale. Questi studi, inoltre, possono essere utili a rendere più efficiente l’apprendimento della musica per un musicista, anche in caso di seri problemi di apprendimento o addirittura di amusia.

Il progetto Sonata for 7 Cities nasce da un suo modo innovativo di concepire il concertismo. Com’è strutturato il progetto?

È un’idea che si è sviluppata nel tempo, a partire dalla mia esperienza consueta di incontrare e discutere col pubblico dopo i concerti, e fare attività divulgativa nelle scuole e nelle università. Viceversa, l’esperienza che ho quando arrivo in una città per fare un concerto e ci sto giusto il tempo di suonare, prendere un applauso e scappare via, la considero un’opportunità sprecata. Innanzitutto per me, di conoscere la città, la sua storia, la sua cultura, di incontrare le persone che la vivono, e poi per la comunità che mi ospita e mi invita a portare il mio pensiero e la mia arte. Partendo da queste riflessioni, ho deciso di fare un esperimento: stare un mese o più nella stessa città e, attorno a uno o due concerti principali, un recital e un concerto con un’orchestra locale, costruire una serie fitta di appuntamenti, concerti nelle scuole, negli ospedali o in piccoli paesi di provincia. Esperienze di solito secondarie nella carriera di un musicista, che invece hanno la stessa profondità e lo stesso potenziale di un concerto in una grande Sala, e che generano una cultura musicale e un pubblico più consapevole. Che ci siano i Templi della musica classica è una grande conquista della nostra civiltà, ma non dobbiamo perdere il contatto con tutto ciò che ci sta attorno, perché se manca questa attenzione ecco che poi le grandi sale, nel tempo, si svuotano.

Si parte a fine agosto con una serie di concerti a Bolzano…

Esatto, sarò artist in residence al festival Busoni di Bolzano per dieci giorni, con un progetto pensato per collegare il lavoro su Bach degli ultimi anni con il progetto di residenze internazionali che comincerà l’anno prossimo. Attorno a un recital incentrato sulle ultime sonate di Beethoven e Schubert, abbiamo costruito una serie di proposte per il pubblico più curioso. Realizzeremo uno spazio espositivo in cui il pubblico può ascoltare la mia interpretazione dell’Arte della Fuga, riprodotta su Steinway Spirio, o visualizzare le conversazioni di cui abbiamo parlato prima. Sarà legata alla più ampia mostra su Busoni, che comprenderà un pianoforte a rullo (progenitore dello Spirio) con le sue incisioni. Ci saranno anche una serie di concerti-incontro più brevi, anche in località periferiche, dedicati alle altre ultime sonate di Beethoven e Schubert. Negli ultimi giorni, terrò anche una masterclass per gli studenti del conservatorio di Bolzano. Si profilano giornate ricche, e dedicate all’approfondimento della musica di Bach, Schubert e Beethoven, oltre che un nuovo esperimento dell’idea di soggiorni più ampi.

Con I Pomeriggi Musicali (cr Lorenza Daverio)

Allo stesso tempo lei è un concertista internazionale, richiesto dalle più importanti sale del mondo. Come pensa di conciliare le due idee opposte di concertismo?

Non intendo rinunciare agli inviti importanti, ma passare un mese a Hong Kong, in Sud America o anche a Milano, è un’esperienza altrettanto importante e prestigiosa di un invito in una grande sala, che potrei esser costretto a rifiutare perché in conflitto con una mia residenza. Sono certo che chi segue le mie attività, e parlo anche di Associazioni concertistiche o Direttori Artistici rinomati, possa comprendere il valore di quest’iniziativa, e ciò non può che avere un riflesso positivo sulla mia carriera. Anzi, forse, interessandosi al mio progetto, più istituzioni mi chiederanno di fare una residenza nella loro città, e spero che questo accada a tanti altri giovani musicisti. È giusto celebrare i grandi nomi, ma c’è una miriade di musicisti di enorme qualità e valore che sono trascurati e che potrebbero fare molto per diffondere la cultura musicale in città di ogni dimensione e in territori dove si fa fatica ad arrivare. 

Ha commissionato sette opere ad altrettanti compositori, includendone l’esecuzione nel progetto. Il progetto stesso prende il nome di “Sonata”. Perché l’allusione a una forma della tradizione per un approccio contemporaneo?

Da interprete, amo molto le Sonate come forma musicale. Al di là della struttura formale, mi sono convinto del fatto che un compositore scrive una Sonata per uno strumento specifico o per una formazione da camera quando vuole esprimere il pensiero più autentico, profondo e originale di cui quel dato strumento è capace in quel particolare momento storico. Allo stesso modo, per me denominare questo progetto “Sonata” significa offrire il pensiero più sviluppato e più maturo che riesco a dare, attraverso il pianoforte, al mondo di oggi.

I compositori sono chiamati a scrivere una vera e propria Sonata o si tratta di un’indicazione generica, sul piano musicale?

Ai compositori, pur avendo richiesto inizialmente una Sonata, ho dato totale libertà di espressione, per non limitare la loro creatività. Per molti la Sonata è un’idea che richiama il passato e rappresenta una forma costrittiva, che non corrisponde alla fluidità richiesta dal mondo odierno. Qualcuno scriverà proprio delle Sonate, come per esempio Stefano Gervasoni, che aveva già manifestato l’intenzione di scrivere una Sonata a me dedicata: peraltro, è stato grazie a questo input che ho deciso di includere la musica contemporanea nel progetto. La sua sarà la prima composizione che presento alla Konzerthaus di Vienna, nella prima residenza del 2025. Altri scriveranno Klavierstückeo altre forme libere a seconda del loro estro.

In un’epoca di estrema semplificazione, è favorevole alle scelte di repertorio e di interpretazione che ammiccano al pubblico?

Ho molta diffidenza verso la tendenza che cerca di portare la musica classica a un livello di comunicazione troppo vicino al mondo commerciale. Il rischio è quello di snaturarla senza poi riuscire, su un piano di intrattenimento leggero, a offrire quello che offre invece la musica pop, o i social network: spegnere il cervello e anestetizzarci. Credo però che la grande musica che abbiamo ricevuto in eredità da Bach, Beethoven, Schönberg e gli altri grandi autori, meriti di essere ascoltata in pace, con la giusta disposizione d’animo. E col cellulare spento, tanto per cominciare.

Allo stesso tempo lei propone una fruizione informale in luoghi come gli ospedali, le carceri e le scuole, dove è dura separare i ragazzi dal cellulare. È un modo per avvicinare la musica alle persone e spogliarla della sua aura sacrale?

Penso che andare in una bella sala, con una buona acustica e con un pianoforte meraviglioso a sentire un grande concerto, sia l’esperienza di ascolto più alta e più pura che di questa musica si possa fare. L’idea di andare a suonare nelle carceri o negli ospedali nasce dal mio desiderio di far incontrare questa musica a persone che ne hanno bisogno, che non possono recarsi in una sala da concerto o che non ci andrebbero se non fossimo noi a raggiungerle. È chiaro che l’esperienza di fruizione in una scuola non può essere la stessa che si ha al Musikverein di Vienna; risponde a un’esigenza diversa, ma è ugualmente importante.

La considera una missione culturale? Crede in una valenza formativa, se non salvifica, dell’arte?

Credo che chi ama e frequenta le arti e la cultura non può che pensare che rappresentino la sfera più alta della propria vita. Non so se fare il pianista risponda a una missione, ma sicuramente risponde alla necessità di contagiare, con la Bellezza delle opere musicali, il pubblico. “Salvifica” è un aggettivo che potrei usare, nel senso che la mia vita, sin da quando ero bambino, è stata nobilitata, e ogni giorno viene arricchita e riempita di senso dalla musica e, di conseguenza, dagli incontri che faccio e dalle esperienze che ruotano intorno. Se da artista posso essere il tramite perché anche altri raggiungano questo risultato, vorrà dire che avrò restituito qualcosa dei doni che ho ricevuto dalla vita.



Data di pubblicazione: 9 Luglio 2024

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