Mito apre nel ricordo di Rihm

Foto: Lorenza Daverio

BERIO Quatre dédicaces RIHM Dis-Kontur RAVEL Daphnis et Chloé, suites 1 e 2 Filarmonica della Scala, direttore Riccardo Chailly

Milano, Teatro alla Scala, 8 settembre 2024

MITO Settembre Musica 2024, che si tiene dal 6 al 22 Settembre, ha inaugurato la sua diciottesima edizione con due eventi nei rispettivi poli del Festival: venerdì 6 settembre a Torino in Piazza San Carlo con la Nona Sinfonia di Beethoven eseguita dall’Orchestra e il Coro del Teatro Regio diretti da Michele Spotti e domenica 8 settembre, al Teatro alla Scala di Milano, con un concerto della Filarmonica della Scala diretta da Riccardo Chailly. Alludendo ai “moti dell’anima” di Leonardo Da Vinci, quest’anno la programmazione è più che mai diffusa nel territorio, uscendo dagli spazi istituzionali ad irrorare il tessuto cittadino di proposte artistiche in grado di coinvolgere non solo il pubblico abitudinario, ma l’intera collettività. La programmazione del biennio 2024/25, si muove sul doppio binario della valorizzazione delle migliori espressioni della cultura prodotta dai due poli del Festival, con un focus sulla realtà imprenditoriale e su quella calcistica, e del dialogo con realtà oltreconfine, al fine di costruire legami progettuali in prospettiva di integrazione europea.

In linea col motto di questa edizione, Moti, l’apertura scaligera di MITO si snoda secondo un percorso a tappe geomusicali eterogenee, stabilendo legami inconsueti tra estetiche apparentemente lontane accostate per analogia o per contrasto, secondo la visione del compositore Giorgio Battistelli, Direttore artistico del Festival. Il programma della serata è decisamente “sfidante”, sia per il pubblico che per gli orchestrali, secondo un aggettivo utilizzato da Chailly per introdurre lo stesso repertorio il 29 agosto a Berlino, nell’ambito della tournée europea di fine estate della Filarmonica della Scala, durante la partecipazione al Musikfest, riuscendo a conquistare il pubblico della Main Hall della Philharmonie. Così, dai delicati schizzi sinfonici Quatre Dédicaces (Fanfara, Entrata, Festum, Encore) di Luciano Berio al tableau Dis-Kontur per grande Orchestra di Wolfgang Rihm, per concludere con la Suite n. 1 e la Suite n. 2 da Daphnis et Chloé di Maurice Ravel, il trattamento orchestrale, da parte dei tre grandi Maestri della musica occidentale, non potrebbe essere più diverso.

Quatre Dédicaces è il titolo scelto da Pierre Boulez per le quattro miniature orchestrali di Luciano Berio, pezzi d’occasione scritti tra il 1978 e il 1989 per le orchestre di Rotterdam, San Francisco e Dallas, oltre a una fanfara destinata alla Biennale Musica del 1982, da lui accorpati in un unico ciclo della durata complessiva di 13 minuti circa, dando seguito, dopo la morte del compositore ligure, alla suggestione del suo storico assistente, Paul Roberts, dirigendone la prima esecuzione assoluta il 31 gennaio 2008 a Chicago con la Chicago Symphony Orchestra. Tre dei quattro pezzi furono utilizzati da Berio nelle sue opere teatrali: Entrata ed Encore come interludi nell’azione musicale La vera storia (1977-81) e Fanfara in Un re in ascolto (1979-83), ed era nei suoi progetti quello di farne un lavoro integrato, più agevole da inserire nei repertori concertistici. I musicisti della Filarmonica della Scala eseguono questi jeux d’esprit con il lavoro di cesello che si conviene a tali manufatti d’alta oreficeria, laddove i filamenti sonori si intrecciano in un tessuto complesso quanto trasparente, nel quale è ben presente, anche nelle piccole dimensioni, un’ossatura solida.

Una concezione rigorosa e una struttura audace e ben congegnata, nelle sue molteplici articolazioni, emergono anche nell’opera di Wolfgang Rihm, Dis-Kontur. Dopo le miniature di Berio, La Filarmonica si trova a gestire un affresco sonoro di grandi dimensioni, dotato di un impianto architettonico imponente. L’esecuzione è introdotta dall’accorata presentazione di Chailly, a ricordare la recente scomparsa del compositore, suo amico fraterno al pari di Berio, il grande “intellettuale senza intellettualismi” di cui diresse lo Schwarzer und roter Tanz già nel 1985, oltre a decine di altre composizioni, alcune delle quali in prima assoluta con diverse orchestre, col compositore sempre presente in sala, legando per lungo tempo le sorti musicali di Rihm con quelle della Filarmonica della Scala: è del 2014 la commissione di Transitus per grande orchestra eseguito in prima assoluta il 5 maggio del 2014 al Teatro alla Scala. Negli ultimi anni Chailly aveva persino cercato di indurre Rihm a completare il progetto formato da Dis-Kontur e Sub-Kontur con un terzo brano che andasse a costituire un trittico, a dire di quanto l’esecuzione scaligera abbia avuto una connotazione emotiva per il direttore, con un diretto impatto sugli ascoltatori. Un doveroso quanto imprevisto omaggio, dunque, al compositore tedesco scomparso nel luglio scorso all’età di 72 anni a Ettlingen, comune situato nel Land del Baden-Württemberg non lontano da Karlsruhe, sua città natale. Un brano dirompente, Dis-Kontur, che pur risalendo al 1974, risulta ancora “geniale, clamoroso e rivoluzionario”, come lo ha definito il direttore d’orchestra. “Questa musica ha una forza tale, una freschezza di scrittura — aggiunge Chailly dinanzi al pubblico della Scala – che non segna il tempo. Il brano suona oggi completamente attuale e sembra scritto qualche mese fa. Questo perché c’era in Rihm un’assoluta coerenza col suo genio, con la sua creatività, cui ha sempre voluto accordare fiducia, senza seguire nessun altro tipo di sentiero parallelo”. Rihm, infatti, sin dai suoi lavori dei primi anni ’70, prende le distanze sia dalla precedente tradizione sinfonica tardo-romantica, sia dai diktat delle avanguardie del tempo, capeggiate da compositori quali Boulez e Stockhausen, di cui Rihm fu allievo nel 1972 a Colonia. Frutto maturo del perfezionamento, a partire dall’anno successivo, di Rihm a Freiburg con il compositore svizzero Klaus Huber è proprio Dis-Kontur, ultimato nel 1974 e diretto per la prima volta l’anno successivo a Stoccarda da Michael Gielen. L’affrancamento da ogni dogma sonoro e la rivendicazione della libertà espressiva, che passa attraverso la liberazione delle pulsioni ataviche, è espresso in maniera tanto plastica da farci tornare alla mente la scena d’apertura del film 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, con la scimmia che, fattasi uomo, ossia soggetto dotato di coscienza, colpisce con violenza con un osso i resti degli altri animali, attraverso una serie di energici colpi di martello, a esprimere una sonorità primitiva e tribale che sconquassa il determinismo meccanicistico del serialismo costruttivista. Il compositore non deve essere tanto un architetto, quanto una “creatura di passione”, sosteneva Rihm. 51 colpi di martello sferrati lungo tutto il brano, inseriti all’interno di una sezione ritmica possente, che non possono non richiamare i tre colpi di martello che tragicamente si abbattono a segnare la fine dell’eroe, nel Finale della Sesta Sinfonia di Mahler, riferimento monolitico nell’orizzonte formativo della personalità musicale di Rihm. Dapprima è il ritmo, nell’opera, a esprimere una forza espressiva ancestrale da cui sgorga, rigenerato, l’afflato di civiltà dell’umano, nelle sue espressioni individuali e nei suoi grovigli dialettici, rappresentati dalle molteplici fasce timbriche sovrapposte e contrapposte, all’interno di un ordinato eppur magmatico caos primordiale.

Dal pannello a tinte forti di Rihm, la seconda parte del concerto scaligero per MITO si apre con i toni iridescenti delle due Suite tratte dal balletto Daphnis et Chloé di Ravel, un classico del primo Novecento che la Filarmonica della Scala dosa stavolta in punta di pennello, dimostrando una completa padronanza stilistica e una magistrale capacità di rendere vivido ogni colore della tavolozza orchestrale contemporanea. Rappresentate al Théâtre du Châtelet l’8 giugno 1912, con la scenografia di Léon Bakst e la coreografia di Vaclav Nijinskij per i Ballets Russes di Djagilev, le pagine della “Sinfonia coreografica in tre parti” trasudano di una grazia poetica e di un erotismo paresseux forse più adatto, per la sua eterea e incorporea rarefazione, alla destinazione sinfonica che alla danza. Il soggetto, affidato al librettista Fokine, è di carattere bucolico, tratto dagli Amori pastorali di Dafni e Cloe, romanzo di Longo Sofista, scrittore greco del III secolo d.C. ambientato in un’Arcadia stilizzata. L’ispirazione, nelle parole dello stesso Ravel, è “la Grecia dei miei sogni, così come l’hanno immaginata e dipinta gli artisti francesi della fine del ‘700”. La prima Suite, che comprende Nocturne, Interlude e Danse guerrière, corrisponde alla sezione centrale del Balletto; la seconda, Lever du jour, Pantomime e Danse générale, al Finale. E se si deve ammettere che il lavoro non ha avuto nel tempo una grande fortuna in forma di Balletto, le due Suite che lo stesso Ravel ne ha tratto, rappresentano una delle opere più eseguite del repertorio sinfonico, grazie alla rigogliosa e policroma strumentazione e a una raffinatezza di stile che fece dire a Stravinskij che il Daphnis et Chloé è “una delle opere più belle della musica francese”. Il pubblico della Scala non ha potuto che esserne rapito, tributando ai musicisti della Filarmonica, valorizzati da Chailly come “grandi virtuosi sia individualmente che in orchestra”, un lungo e scrosciante applauso per l’interpretazione di tali grandiose MITOlogie orchestrali.

Maggie S. Lorelli

Data di pubblicazione: 12 Settembre 2024

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