BELLINI I Capuleti e i Montecchi B. Torre, A. Stroppa, M. Falcier, M. Guerzé, B. Wang; Orchestra I Pomeriggi Musicali, direttore Sebastiano Rolli Coro OperaLombardia, Maestro del coro Diego Maccagnola regia Andrea De Rosa scene Daniele Spanò costumi Ilaria Ariemme luci Pasquale Mari
Brescia, Teatro Grande, 17 settembre 2024
Alla vigilia della rappresentazione de I Capuleti e i Montecchi di Bellini al Teatro Grande di Brescia – nuovo allestimento dei teatri di OperaLombardia – era circolata la notizia del ruolo “en travesti” di Romeo per una volta proposto senza travestimento, dunque declinato al femminile. Il regista Andrea De Rosa così spiegava la sua scelta nelle note introduttive: “Approfittando del fatto che il ruolo di Romeo deve essere interpretato da una mezzosoprano, ho deciso di lasciare le sembianze femminili alla cantante che lo interpreta, senza travestirla da uomo”. In effetti, all’apertura del sipario, si è visto al centro della scena, circondata da pareti basse, una camera da letto dei nostri giorni, un po’ in disordine, con un materasso poggiato direttamente a terra, una sedia, un cuscino, una lampada snodata, un busto rosa. E in primo piano i due protagonisti tra le coltri: Giulietta e Romeo, ovviamente, interpretati da due cantanti donne, soprano e mezzosoprano, proposte come due ragazze adolescenti d’oggi. Chi conosce il libretto di Felice Romani e lo spartito di Bellini ricorderà che nell’introduzione dell’opera i due personaggi principali non cantano, mentre si ode il coro dei partigiani dei Capuleti. Costoro, dietro fili verticali, circondavano in modo sinistro l’alcova centrale suggerendo l’idea di una sostanziale incomunicabilità. Tradotto in chiave contemporanea: il mondo degli adulti, con i loro forti e radicati pregiudizi, insensibili all’amore profondo sbocciato tra due giovani coetanee.
Ma poi, bisogna fare i conti anche con il testo originario. E Romeo, nell’opera, anche se affidato a una voce femminile di mezzosoprano è un uomo che parla sempre al maschile, è un guerriero ed è anche un politico. Così, al di là della prima scena, il personaggio ha ripreso anche dal punto di vista visivo la sua natura androgina, per esempio indossando una tuta sportiva multicolore dall’aspetto mascolino, o anche mostrando una sciarpa da stadio con la scritta Montecchi, alludendo a scontri fra opposte tifoserie. Queste scelte, anche se forse non molto gradite a tutti gli spettatori, sono in qualche misura servite a mediare fra la drammaturgia originaria e l’intenzionale trasposizione del soggetto ai giorni nostri.
Sappiamo che assegnare un ruolo maschile a una voce acuta era un retaggio del Settecento, quando i castrati impersonavano gli eroi dell’opera seria. Ma all’epoca di Bellini, la moda degli evirati cantori era ormai tramontata ed ecco affacciarsi voci femminili che potevano presentarsi “en travesti”. Nel 1830 la scelta di una voce acuta per Romeo era anche giustificabile considerando la giovanissima età del personaggio. Forse ci può sorprendere che all’epoca non si siano levate voci contrarie: per esempio, quando Berlioz ascoltò l’opera di Bellini, si scandalizzò non tanto per la parte di Romeo affidata a una donna, quanto per la siderale distanza, a suo parere, del libretto di Romani dalla fonte shakespeariana. Né mancò chi, come Claudio Abbado nel 1966 alla Scala, decise di trasporre per voce di tenore la parte di Romeo in nome di una maggior verosimiglianza teatrale: peccato che così facendo andò perduto l’effetto travolgente delle due voci femminili all’unisono nel finale del primo atto. Perché è proprio dal canto belliniano, più che dalla stessa messa in scena, che nasce l’essenza teatrale di quest’opera.
Dal punto di vista musicale il soprano Benedetta Torre è stata una Giulietta particolarmente espressiva nei recitativi, nel canto spianato e di coloratura. In particolare, ha affrontato con seducente morbidezza e ricchezza di sfumature la famosa cavatina del primo atto “Oh quante volte, oh quante”. Prevedibilmente calorosa l’accoglienza del pubblico per il mezzosoprano Annalisa Stroppa, finalmente impegnata nel teatro di casa, lei originaria di Brescia, dopo anni di brillante carriera internazionale: con la sua esperienza ha confermato una grande duttilità vocale e una carismatica presenza scenica. Una prova in crescendo, la sua, culminata nella commovente scena conclusiva dell’opera. Nel complesso positivo anche l’apporto delle voci maschili con il tenore Matteo Falcier nel ruolo di Tebaldo, il baritono Matteo Guerzé nei panni del medico Lorenzo (non più frate, a differenza di Shakespeare) e il basso cinese Baopeng Wang in quelli dell’insensibile Capellio. Ben preparato il coro. Dirigeva il maestro Sebastiano Rolli, molto competente – anche dal punto di vista storico-filologico – in questo repertorio, tanto che nell’organico dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali si è visto un cimbasso, strumento caro anche a Verdi. Rolli è stato assai elegante nel dipanare, sempre con sensibilità teatrale, una partitura insidiosa, in cui anche le percussioni hanno un ruolo importante, a patto che non risultino troppo invadenti. Alla fine, convinti applausi per tutti gli interpreti.
Marco Bizzarini
Foto: Umberto Favretto