MARTINŮ La montagna delle tre luci JANÁČEK Messa glagolitica A. Poláčková, M. Zajmi, A. Briscein, J. Přibyl, T. Badura, V. Šlahař; Coro Filarmonico ceco di Brno Orchestra Filarmonica Janáček di Ostrava, direttori Gábor Káli (Janáček), Joel Hána (Martinů) organo Petr Čech
Pisa, Cattedrale, 27 settembre 2024
Da ben 23 anni Anima Mundi, la prestigiosa rassegna internazionale di Musica sacra organizzata a Pisa dall’Opera della Primaziale e da quattro anni diretta artisticamente da uno specialista come Trevor Pinnock, va scandagliando i segreti della grande musica di ispirazione religiosa (liturgica e non). A fare da suggestiva cornice che, come ben asseriva il massmediologo canadese Marshall McLuhan, non è certo meno importante del quadro, i luoghi iconici del Campo dei miracoli, ossia la Cattedrale pisana, il Camposanto monumentale e storico (che fu di ispirazione addirittura a Liszt per la sua Totentanz), e la celeberrima Torre pendente per rinascimentali ottoni e percussioni di benvenuto.
Dopo l’inaugurale Stabat mater di Antonín Dvořák, affidato all’Orchestra e coro della Filarmonica slovena, ai solisti dell’Amsterdam Baroque Orchestra diretta al cembalo da Ton Koopman per la bachiana Offerta musicale, per non dire di altri concerti cameristici tra cui lo Stabat pergolesiano, la chiusura tra le arcate della cattedrale è stata consacrata tutta a musica ceca con il coro Filarmonico di Brno e l’Orchestra Filarmonica di Ostrava. Se però nel caso della singolare Messa glagolitica di Janáček, diretta da Gábor Káli, trattavasi di un capolavoro ben noto anche se non eseguitissimo, una vera rarità era invece in apertura costituita dalla austera La montagna delle tre luci (1955) per tenore, voce recitante, coro misto e organo di Bohuslav Martinů affidata alla bacchetta di Joel Hána.
Una partitura anticonvenzionale, del tutto rara nel suo genere che, sotto l’occhio vigile e il gesto benedicente dell’absidale Pantocrator musivo, evoca sulla falsariga di passi evangelici il forte senso di aspettazione (Cristo in solitudine sul Getsemani in attesa dell’imminente arresto) con una scrittura corale, intercalata alla narrazione, accompagnata dal solo organo, scrittura che trascolora dalla antica melopea della cantillazione sino al conclusivo corale omoritmico di tipo bachiano. La scrittura organistica si rivela molto più avanzata di quella corale, che pur non è priva di suggestioni evocative.
La barbarica Messa glagolitica è di certo la più nota della quindicina di opere di ispirazione sacra di Janáček ed appartiene agli ultimi anni della vita del compositore che morì ad Ostrava nel 1928. Una rivelazione di quello che fu il reale rapporto del compositore moravo con la religione. “Uomo profondamente religioso – lo definì acutamente Fedele D’Amico – ma non in senso mistico”. Si dichiarava per altro chiaramente non credente. La partitura, eseguita per la prima volta a Brno nel 1927, si avvale dell’alfabeto ideato nel IX sec. dai monaci Cirillo e Metodio per tradurre le sacre scritture nell’antico slavo. Una scelta panslavista che serviva a confermare l’identità nazionale di una nazione che, nata dal disfacimento dell’Impero asburgico dopo la Grande guerra, si accingeva allora a festeggiare il decennale della sua nascita. Alle cinque parti canoniche dell’Ordinarium Missae del rito romano Janáček aggiunse una introduzione orchestrale, una Intrada processionale e in conclusione una sorta di monumentale passacaglia organistica, inizialmente concepita come introduzione. Il tono generale, tranne qualche breve pausa idilliaca all’inizio del Sanctus, è fauve, selvaggio, primitivo, aspro, in sintonia con la musica del suo tempo (penso naturalmente alla coeva esperienza stravinskiana e bartókiana). I toni grandiosi e magniloquenti sono improntati all’austerità morale. Le accelerazioni, le asimmetrie ritmiche, la tinta corale sono colte perfettamente nella incisiva esecuzione della corposa compagine orchestrale ceca che godeva di una cornice ambientale unica al mondo. Unanimi e calorosi i consensi finali di un folto pubblico per una esecuzione doc che conclude in bellezza una rassegna del tutto sui generis.
Lorenzo Tozzi