Se avete in progetto di visitare la Biennale Arte a Venezia e contate di esserci entro il 10 ottobre, avete un’opportunità in più: seguire le installazioni che sono state realizzate per la Biennale Musica, quest’anno dedicata alla Absolute Music. All’Arsenale, nella Sala d’armi E (di fronte alla A, più facilmente visibile) è stata realizzata una scena sonora mediante diffusori acustici collocati, rispetto ad un ascoltatore al centro della sala, principalmente di fronte, quindi lateralmente, dietro e in alto, in maniera tale da creare una situazione di ascolto immersivo. La sala è avvolta nella semioscurità, attraversata da effetti luce e l’ascoltatore può stare seduto, in piedi e muoversi tra i suoni o sdraiato, come ho visto molti fare, una libera disposizione che un po’ richiama situazioni da Living Theatre. I 12 pezzi proiettati attraverso i diffusori acustici si succedono con brevissime pause dalle 11.30 alle 17.45 tutti i giorni (potete trovare online il cronoprogramma cercando “Biennale Musica 2024 | Listening/Hearing”): l’ascolto potrebbe risultare pesante ma, a parte che si può entrare e uscire quando si vuole, viene data l’opportunità di ascoltare tutto in uno o più giorni: io ho fatto un tour de force in due giorni e sono felicemente sopravvissuto, considerato che mi sono imposto un ascolto critico e intensivo, senza lasciarmi andare, come invece era possibile. Anzi mi permetto di aggiungere che queste installazioni possono costituire l’occasione per un Absolute Listening (per citare il titolo di una tavola rotonda) magari effettuato, una volta tanto, lasciando da parte la consultazione compulsiva del cellulare. Un aspetto che caratterizza questa serie di installazioni è la presenza del Disklavier, impiegato da musicisti come Kourliandski in prima mattinata, Curran e Nikrang nel medio e ultimo pomeriggio. Prodotto dalla Yamaha, progressivamente perfezionato dalla sua invenzione nel 1987, ha l’aspetto esteriore di un normale pianoforte (in questo caso a coda, con una scatoletta con dei led a sinistra sotto la tastiera), ma ha sensori che consentono la registrazione elettronica, può riprodurre automaticamente brani e registrare l’esecuzione del musicista/interprete. Lo strumento, che può essere controllato nelle dinamiche (cioè sulla forza dei martelletti), realizza passaggi veloci con buona chiarezza e non ha i limiti delle due, quattro o sei mani sulla tastiera, ha destato grande curiosità nei visitatori, proprio perché si vedevano i tasti abbassarsi da soli. Nel suo lungo Piano Space Dmitri Kourliandski ha dapprima composto per pianoforte e registrato il brano, l’ha quindi elaborato attraverso un apposito programma; nella versione per la Biennale, al Disklavier viene affidato il materiale di partenza insieme alle sue elaborazioni. I procedimenti assai complessi che stanno dietro questi lavori danno esiti molto diversi, comunque interessanti e che spesso si segnalano per il carattere di sperimentazione, per le strade che possono aprire. In Absolute Hallucination, Ali Nikrangfa ricorso all’Intelligenza Artificiale che elabora materiali differenti: vediamo dunque il Disklavier che per così dire improvvisa da solo, sulla base di un sistema di composizione concepito da Nikrang: l’ascolto è interessante perché percepiamo musica che richiama Debussy ma soprattutto il Beethoven pianistico del primo periodo o la scrittura contrappuntistica barocca. In questo caso il brano è sembrato a chi scrive interessante non tanto per i risultati estetici ma per le strade che apre, come anche per i problemi che pone (dove arriva la capacità umana? dove quella della macchina?).
Un dato che accomuna non pochi brani, dal punto di vista dei risultati, è la creazione di fasce sonore, elaborate secondo procedimenti diversissimi e affidati a sistemi di spazializzazione ugualmente assai differenti. Di forte impatto è Travelling Voices di Christina Kubish: l’artista ha effettuato registrazioni di lavori vocali di compositori attivi a Venezia fra Cinque e Seicento eseguiti dalla Cappella Marciana (Andrea Gabrieli, Merulo, Monteverdi, Willaert fra questi) che sono poi state ri-registrate in siti al di fuori di Venezia (dunque lo spazio acustico ne ha modificato la sonorità), nuovamente elaborate e presentate in versione multicanale. All’ascolto notiamo gruppi di suoni continui nei quali il timbro vocale è inizialmente ben percepibile ma cambia progressivamente, viene per così dire denaturato. Di grande interesse The Hermetic Organ di John Zorn: questo famoso musicista aveva presentato un brano con lo stesso titolo l’anno scorso agli organi del Conservatorio Benedetto Marcello sempre nell’ambito della Biennale Musica. Di questo pezzo è stata ora realizzata una versione installativa sulla base di due esecuzioni realizzate a ‘s-Hertogenbosch in Olanda. L’effetto è quello di una spazializzazione frontale con effetti di distanziamento anche nel senso di alto-basso, come avessimo di fronte i corpi sonori di un grande organo: troviamo lunghe note pedale gravi come acute, oppure fasce sonore brulicanti che rimandano alle composizioni per organo di Ligeti (Volumina in primis), effetti particolari creati con i soli registri di mutazione oppure giocando su registri inseriti manualmente e lentamente. Ampiamente giocato sulla spazializzazione (sentiamo i suoni anche provenire dall’alto) è Zeal di Mattia Parisse, nel quale il compositore crea eventi in maniera tale da aumentare la capacità percettiva dell’ascoltatore. Accanto a lavori sperimentali si collocano composizioni che ormai possiamo definire classiche e che acquistano una particolare dimensione attraverso gli effetti multicanale. Un brano che supera i 50 minuti è De Natura Sonorum, forse la creazione più nota di Bernard Parmegiani(1927-2013), uno dei pionieri della musica elettronica. Si tratta di una composizione in 12 movimenti realizzata nel 1975 per nastro: nonostante la lunghezza del pezzo, nel quale sono utilizzati ed elaborati materiali di origine strumentale, concreta ed elettronica, l’ascolto risulta agevole perché riusciamo a distinguere con facilità gli elementi che caratterizzano i singoli movimenti. E per chiudere, in questa carrellata che purtroppo farà torto ai brani non citati, Bohor di Xenakis, altro pezzo classico composto nel 1962. Iannis Xenakis allora stava lavorando a procedimenti che permettessero di comporre attraverso computer, e con Bohor ha realizzato presso il Group de Recherche Musicale di Parigi uno dei primi lavori a 8 canali. Il pezzo è dominato da due elementi principali: una sonorità concentrata e brulicante costantemente in movimento ed una sonorità grave sostenuta prodotta da uno strumento a fiato laotiano, il Khèn. Percepire questo pezzo all’interno dello spazio acustico realizzato per la Biennale non ha paragoni rispetto all’ascolto in casa anche avendo un impianto formidabile, si tratta di una occasione quasi irripetibile che, dopo oltre 60 anni dalla creazione del brano, produce un forte impatto sull’ascoltatore.
Gabriele Moroni
foto: Courtesy La Biennale di Venezia