CESTI L’Orontea S. D’Oustrac, M. Palazzi, F.P. Vitale, H. Canning, C. Vistoli, M. Rahal. S. Blanch, L. Tittoto, M. Nazarova; Orchestra del Teatro alla Scala su strumenti storici, direttore Giovanni Antonini regia Robert Carsen scene e costumi Gideon Davey
Milano, Teatro alla Scala, 30 settembre 2024
Quante regine detronizzate, o felicemente sul trono, hanno popolato la storia dell’arte nei secoli? Basti pensare alla Roma del Seicento, ricca di protettrici di pittori ed architetti, di gran dame intente a tener corte fra quadri, intrattenimenti e allestimenti di melodrammi in palazzi, ville e fastosi giardini. Ecco dunque trasportata nella Milano della fashion week e dei prestigiosi vernissage la Regina Orontea, splendida nei suoi “outfit,” elegante nelle maniere, occupata a sovrintendere dal modernissimo attico di CityLife al buon andamento della sua galleria di pittura dove, fra installazioni da Biennale e un tocco di informale, si svolgono deliziosi, esclusivi cocktail rigorosamente frequentati dalla “crema” della Metropoli, vociante e dedita al buon bere e al pettegolezzo. I dignitari della bella e nobile gallerista, professionisti impeccabili, manager, critici ma anche maggiordomi in livrea, sguatteri e camerieri fanno da degno contorno a questo spaccato di high life in cui fra le architetture squadrate e taglienti di Stefano Boeri si insinuano, violente, le passioni amorose, gelosie, tradimenti e arditi travestimenti, che portano al naturale dipanarsi di una trama in cui la musica sublime di Cesti (Innsbruck, 1656) esalta con maestria un ventaglio di sentimenti e di atteggiamenti vario e sfaccettato; Robert Carsen, con questa regia pungente, ironica e ricca di idee e di inventiva non mortifica né il libretto (geniale e spesso sapido nei suoi arguti doppi sensi) né la drammaturgia, rivelando un rapporto costante e fruttuoso con la mirabile concertazione e direzione di Giovanni Antonini; a quest’ultimo si deve una visione del melodramma seicentesco piena e consapevole, che lo porta a modulare l’organico orchestrale di questa Orontea rendendolo adatto ad apparire in una sala gigantesca, di quasi duemila posti, ahimè in parte abbandonati agli intervalli. Se il Maestro allarga l’organico, la sensibilità coloristica non ne risente, e le voci dei cantanti appaiono magnificamente amalgamate sia con il ricchissimo basso continuo che con i precisi ed espressivi archi scaligeri. Le scelte dei tempi sono decisamente felici, nel segno di una varietà che non va mai a discapito della precisione, e sanno enfatizzare le voci del cast, il cui livello medio è decisamente soddisfacente.
Orontea è affidata all’affascinante Stéphanie d’Oustrac, presenza scenica di rilievo ed espressività mai sopra le righe; ma tutto il cast, concentrato nel rendere equilibrato il rapporto fra musica e testo, è da encomiare, dall’ autorevole Mirco Palazzi a Francesca Pia Vitale, senza dimenticare Sara Blanch e i due controtenori Hugh Cutting e Carlo Vistoli (coprotagonista), assai a loro agio seppure in una sala di dimensioni notevoli. Fra tutti una menzione speciale merita Luca Tittoto, interprete del ruolo comico di Gelone; recitazione spigliata e controllo vocale gli permettono di disegnare un ritratto memorabile del dignitario reale dedito più alla bottiglia che alla guerra o alla filosofia. Lo spettacolo della durata complessiva di tre ore e mezza si chiude fra gli applausi, nella speranza che il lavoro del Teatro alla Scala rivolto alla proposta di melodrammi del Seicento e del Settecento possa muoversi sempre su questi felici binari.
Mario Marcarini
Mario Marcarini
Foto: Vito Lorusso