STRAUSS Ariadne auf Naxos E. Magee, A.-L. Elbert, A. Staples, G. Baveyan, S. Patterson, D. Noyola, J. de Dios Mateos, S. Gaul, O. Vermeulen, M. Hagen; Budapest Festival Orchestra, direttore Iván Fischer regia Iván Fischer e Chiara d’Anna scene Andrea Tocchio costumi Anna Biagiotti
Vicenza, Teatro Olimpico, 24 ottobre 2024
Nell’Ariadne auf Naxos Richard Strauss compie una raffinata operazione intellettuale, giocando con i generi musicali e la tradizione come poteva fare solo un musicista geniale e colto, potendosi tra l’altro giovare dell’acume e della sensibilità di Hugo von Hofmannstahl, librettista – caso unico nella storia della musica – che poteva concedersi il lusso di dialogare alla pari con il compositore. È opera al quadrato Ariadne auf Naxos, un sottile gioco di teatro nel teatro in cui si mescolano tragedia e commedia e in cui il passato musicale si riversa nel presente rivelando in qualche modo la sua inattualità ma allo stesso tempo rivelandosi autentico, perché se questo piccolo capolavoro è quasi del tutto impermeabile agli accidenti della Storia (la prima versione è del 1912, la seconda arriva a compimento nel 1916 in piena Grande guerra e fa un certo effetto pensare che un’opera così luminosa sia andata in scena a Vienna il 4 ottobre del 1916, solo un mese e mezzo prima della morte del vecchio imperatore Francesco Giuseppe) non è certo impermeabile agli accidenti della Vita, rivelandosi uno specchio dell’eterna ambivalenza dell’amore, polarizzata nei personaggi di Arianna e Zerbinetta, emblema della fedeltà tragica la prima, materializzazione comica della leggerezza e dell’infedeltà la seconda, infedeltà però vissuta nel segno di un’irresistibile forza vitale.
Per mettere seriamente mano all’Ariadne auf Naxos e provare a rileggerla ci voleva un direttore ambizioso e geniale come l’ungherese Iván Fischer alla guida dei fidatissimi musicisti della sua Budapest Festival Orchestra, nella doppia veste di direttore musicale e di regista come da alcuni anni usa fare con l’“Iván Fischer Opera Company”. Sì, perché per quest’opera in teoria si potrebbe scegliere tra la prima problematica versione, preceduta dalla rappresentazione in prosa de Le bourgeois gentilhomme di Molière con le musiche di scena scritte sempre da Strauss, e la seconda versione del 1916, in cui la commedia di Molière viene sostituita da un prologo interamente cantato, ma Iván Fischer non sceglie né l’una né l’altra e sostituisce il prologo con la suite strumentale composta da Strauss rielaborando le musiche di scena per Le bourgeois gentilhomme, che possiamo ascoltare e anche vedere grazie alle coreografie di Chiara D’Anna, la quale ha anche firmato la regia insieme allo stesso direttore ungherese. Questa singolare versione dell’Ariadne auf Naxos, andata in scena qualche mese fa al Festival di Spoleto e quindi a settembre a Budapest, è stata ripresa al Teatro Olimpico di Vicenza nell’ambito del “Vicenza Opera Festival”, di cui Fischer e la sua Orchestra sono da alcuni anni graditi ospiti.
È uno spazio della meraviglia quello del Teatro Olimpico, pensato per il teatro di prosa ma che nel caso di un’opera senza coro e con un organico strumentale ridotto (piccola orchestra d’archi con legni, ottoni, percussioni, due arpe, harmonium, celesta e pianoforte) offre l’occasione per ripensare da capo a fondo le dinamiche del teatro lirico. In questo allestimento l’orchestra è disposta su due linee, davanti e in fondo allo spazio scenico, mentre cantanti e attori agiscono nel mezzo, anzi per meglio dire interagiscono con gli orchestrali, soprattutto nel festoso e irriverente preludio con la suite de Le bourgeois gentilhomme, in cui le maschere della commedia dell’Arte che poi vedremo in scena insieme ai personaggi tragici si muovono tra un gruppo di strumenti e l’altro, mettono e tolgono cappelli variopinti sulle teste degli orchestrali, fanno lazzi e scherzi in una girandola di movimenti e di colori che rende ancora più sapida la musica di Strauss. È un piacere per gli occhi ed è un piacere per le orecchie, perché nella confusione generale – ma è confusione studiatissima – Iván Fischer guida l’orchestra con mano sicura e impassibile oggettività in un’esecuzione iper-controllata, adamantina nel suono e tirata a lucido nel fraseggio, in cui nulla è fuori posto e nulla viene concesso al pittoresco, nell’ottica di un Neoclassicismo già quasi stravinskiano (cronologicamente, del resto, il Pulcinella del Russo è quasi contemporaneo a questa Suite), sia pure mitigato, nella musica come nella lettura di Fischer, da quella serpeggiante malinconia che del mondo musicale straussiano è categoria ineludibile.
L’opera vera e propria inizia con il lamento di Arianna, una maestosa Emily Magee, soprano di carisma e di esperienza capace di restituire tutto il dolore, espresso però con nobile e quieta dignità, dell’eroina abbandonata per eccellenza dell’intero patrimonio mitologico greco attraverso un canto morbido e potente, in virtù di una voce enorme mai però usata al massimo delle possibilità dinamiche e di un legato di bellezza incantatoria, per non dire della seducente rassegnazione del fraseggio, doti che non la fanno sfigurare al cospetto delle grandi Ariadne dei nostri giorni, su tutte Krassimira Stoyanova. Regge il suo confronto il Bacchus del tenore Andrew Staples, “Heldentenor” di razza per la voce stentorea che raggiunge il fortissimo con naturalezza e senza alcuna forzatura, il quale oltretutto non denota incertezze nell’intonazione delle note acute e mostra anche di avere un’apprezzabile propensione al canto lirico e alle sfumature dinamiche, con risultati molto alti nel duetto conclusivo dell’opera, che l’orchestra accompagna con un delicato velluto timbrico (dolcissima la marea sonora che avvolge a poco a poco le voci nelle battute conclusive) e sui cui si allunga l’ombra di Wagner e in particolare del Tristan und Isolde, anche se qui a trionfare è l’amore e non la morte ed il trionfo è reso possibile grazie alla mediazione di un personaggio tutto terreno come la soubrette-servetta Zerbinetta, interpretata dal giovane soprano Anna-Lena Elbert. Della drammaturgia dell’Ariadne è proprio Zerbinetta il motore e così accade anche in questa messa in scena, perché Anna-Lena Elbert si muove incessantemente sulla scena, a tal punto che nel celebre rondò quasi si dimentica – unica pecca delle bella regia di Fischer – di consolare Arianna per giocare con il pubblico e i due attori muti (i bravi Utka Gavuzzo e Camilo Daouk) in un malizioso cambio d’abito con tanto di svolazzanti gambe nude. Perfettamente a suo agio sul piano della drammaturgia, Anna-Lena Elbert si disbriga in scioltezza anche nelle iperboliche insidie della sua parte vocale, per quanto le volatine e i celebri sovracuti non abbiano l’incisività e la luminosità esibite da altre interpreti del passato e del presente (penso a Erin Morley, protagonista al Teatro alla Scala nella messa in scena del 2022 firmata da Sven-Eric Bechtolf e diretta da Michael Boder).
In piena sintonia con il clima burlesco della vicenda e vocalmente sempre a fuoco sono state tutte le parti di contorno, in particolare il terzetto femminile, sinuoso sia scenicamente sia vocalmente, di Naiade, Driade ed Eco, rispettivamente i soprani Samantha Gaul, Olivia Vermeulen e Mirella Hagen, in una serata nel complesso ben riuscita, suggellata dalle lunghe ovazioni del pubblico.
Luca Segalla