Nina Minasyan e Iván Ayón Rivas illuminano la Lucia genovese

Iván Ayón Rivas (Edgardo) e Nina Minasyan (Lucia)

DONIZETTI Lucia di Lammermoor Franco Vassallo, Nina Minasyan, Iván Ayón Rivas, Paolo Antognetti, Luca Tittoto, Alena Sautier, Manuel Pierattelli; Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice, direttore Francesco Ivan Ciampa regia Lorenzo Mariani scene Maurizio Balò costumi Silvia Aymonino

Genova, Teatro Carlo Felice, 17 novembre 2024

Lucia di Lammermoor è tra le opere che il Carlo Felice ha proposto più spesso negli ultimi decenni: salvo errori, si tratta della sesta volta che il capolavoro donizettiano è stato messo in cartellone dalla riapertura del Teatro, anche se in questo caso ripresentando l’allestimento del 2018 che fu caratterizzato (e condizionato) dalla presenza di Andrea Bocelli come Edgardo (vedi la recensione a https://www.rivistamusica.com/delude-a-genova-ledgardo-di-andrea-bocelli/ ). Un tratto comune a tutte queste messe in scena, piuttosto differenti tra loro quanto a impostazione e livello, è stato quello di poter contare su una protagonista di rilievo, da Mariella Devia a Jessica Pratt a Zuzana Marková, che aveva sorpreso positivamente nell’allestimento di sei anni or sono. La regola non è stata disattesa da Nina Minasyan: la voce è forse un po’ piccola per gli ampi spazi del Carlo Felice, carenza accentuata dalla posizione arretrata sul palcoscenico in cui la regia costringe Lucia in un paio di occasioni, tra cui purtroppo l’inizio della Scena della pazzia; la cabaletta del primo atto non ha goduto di un carattere davvero elettrizzante; però il soprano armeno è dotato di un timbro molto gradevole e sa cantare con flessibilità e comunicativa, catturando l’empatia dello spettatore. La Minasyan ha modellato la grande scena del terzo atto in maniera davvero esemplare, costruendo richiami suggestivi con la glassarmonica nella cadenza; soprattutto, ha trovato consonanza con una regia che focalizzava in maniera originale, anche se non del tutto risolta, la figura della protagonista, restituendone in particolare il carattere ipersensibile (vedi la sezione del Duetto con Edgardo in cui cerca di placarne l’“ira estrema”). Da parte sua Iván Ayón Rivas come nobile scozzese è fisicamente ancor meno credibile di quanto lo fosse Marcelo Álvarez, ragguardevole Edgardo dell’edizione 2003 (vedi MUSICA 149). Ma il tenore peruviano possiede squillo e accento, che evidenziano già nelle battute sdegnate del Duetto con Lucia la “fiamma ardente” che caratterizza Ravenswood anche nella Stretta del Finale II; è poi interprete generoso, capace nella scena conclusiva di innervare il suo fraseggio con un’infinità di sfumature: pur mettendo in conto qualche stimbratura nelle smorzature e nelle mezzevoci, il risultato è stato di emozionare e commuovere, e più in generale dal mezzoforte in su il cantante ha saputo dar lezioni di proiezione e naturalezza espositiva ai tanti tenori dall’emissione arretrata, quando non gutturale, oggi in circolazione.

Voce dall’innegabile impatto, Franco Vassallo non dispone certo della vocalità propria dell’autentico baritono donizettiano, per quanto qui già tendente al villain; questa estraneità stilistica è emersa ripetutamente durante l’opera, in particolare nel mirabile Sestetto. Tuttavia il suo fraseggio a forti tinte è stato in qualche modo coerente con la visione registica di un Enrico davvero efferato, che già nella prima scena minaccia di uccidere Raimondo con una pistola (venendone invero ricambiato quando, nel secondo atto, si accinge a stuprare la sorella) e decapita durante la cabaletta un povero cervo abbattuto. L’educatore di Lucia (qui in abiti borghesi) era interpretato da Luca Tittoto con autorevolezza, timbro corposo, dizione scolpita; altrettanto convincente l’Arturo di Paolo Antognetti, che ha affrontato con rara disinvoltura l’ardua sortita “Per poco tra le tenebre” ed è riuscito anche a disegnare un personaggio, pur con poche battute a disposizione; Manuel Pierattelli è stato un Normanno eloquente e subdolo come richiesto, Alena Sautier un’Alisa efficace.

La scena della torre

Per quanto riuscita in alcuni brani, non ho colto nella direzione di Francesco Ivan Ciampa una vera fisionomia complessiva, e anche all’interno di numeri come il duetto tra Enrico e Lucia la sua conduzione mi è sembrata un po’ episodica; a tratti poi l’orchestra tendeva a coprire le voci meno sonore. Il complesso genovese ha comunque offerto una prestazione più che adeguata, e tutte le parti solistiche hanno meritato un encomio, dall’arpa di Laura Papeschi alla glassarmonica di Philipp Marguerre. Eccellente anche il coro, in quest’opera tanto importante: va aggiunto per la cronaca che l’adesione allo sciopero di una sigla sindacale ne ha comportato invece lo schieramento a ranghi ridotti per la Prima di venerdì 15. Per l’impianto visivo rimando a quanto scritto nel 2018: rispetto ad allora viene riaperto l’anacronistico taglio del Duetto tra Enrico ed Edgardo, dove però si annida (caso non isolato nell’allestimento) il demonietto della comicità involontaria, quando i due rivali tentano a turno di strozzarsi con la scozzesissima sciarpa…

Roberto Brusotti

Foto: Marcello Orselli

Data di pubblicazione: 21 Novembre 2024

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