SIBELIUS da Lemminkäinen, suite op. 22: Il cigno di Tuonela; Il ritorno di Lemminkäinen ORFF Carmina Burana G. Gianfaldoni, M. Santarelli, M. Olivieri; Orchestra, Coro e Voci Bianche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, direttore Dalia Stasevska
Roma, Parco della Musica, Sala Santa Cecilia 12 dicembre 2024
Debutto interessante ai concerti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di una direttrice d’orchestra che la formazione e la residenza dicono finlandese, ma che il nome e la nascita rivelano ucraina: Dalia Stasevska. Nata infatti a Kiev nel 1984, Dalia e la sua famiglia si trasferiscono subito a Tallinn in Estonia, poi in Finlandia, ad a Helsinki, quindi a Tampere. Qui lei compie i primi studi, entrando alla Sibelius Academy di Helsinki per le classi di violino e viola. Studia direzione d’orchestra alla Royal Swedish Academy of Music con Jorma Panula e alla Sibelius Academy con Leif Segerstam. Assistente di Paavo Järvi all’Orchestre de Paris, ha quindi iniziato una carriera internazionale, che l’ha portata a stabilire i rapporti più duraturi con la BBC SO e con la Lahti Symphony Orchestra. Già presente sul podio dell’Orchestra Regionale Toscana, ha inciso con la BBC SO e Francesca Dego i concerti per violino e orchestra di Brahms e di Busoni (recensiti su MUSICA 355 con le cinque stelle di Giuseppe Rossi). Nota divertente e curiosa è che la Stasevska ha sposato un musicista rock finlandese, Lauri Porra, bassista del gruppo Stratovarius e pronipote di Jan Sibelius.
E dunque con l’apertura del programma la direttrice era quasi in famiglia, visti i brani di Sibelius proposti: due dalla suite Lemminkäinene il poema Finlandia nella rara versione con coro e orchestra (in prima esecuzione a Roma). Il Cigno di Tuonela ha subito posto in mirabile e peculiare luce il lirismo desolato e malinconico d’una pagina fra le più celebri del compositore finlandese e che la Stasevska, con la bravissima Maria Irsara al corno inglese, ha reso particolarmente suggestiva. Drammatico e vibrante era poi l’impulso di ballata leggendaria dato al Ritorno di Lemminkäinen, così come appariva di larga eloquenza il poema Finlandia, cui l’inno di Veikko A. Koskennjemi aggiunge un tocco di retorica patriottica accattivante e indubbiamente datata.
Non corrono questo rischio i Carmina Burana di Carl Orff: che ad ogni riascolto confermano non solo la genialità controcorrente di un lavoro eseguito in creazione mondiale nel 1937, ma anche l’imprevedibile aderenza di quasi tutti i venticinque numeri della partitura agli spunti offerti delle Cantiones profanae contenute nel Codex Latinus Monacensis di Benediktbeuren (a Bad Tölz in Baviera). Codex che raccoglie i portati poetici (e forse melodici) di clerici vagantes e studenti universitari cosmopoliti, accomunati dal nome di Goliardi e presenti in Francia, in Italia, in Germania tra l’XI e il XIV secolo. Orff da tutto ciò ha tratto una sorta di vasto poema sinfonico-corale sulla gioventù, sulla sua bellezza e sulla sua fuggevolezza, sul suo esser in fondo un irrinunciabile e fantastico sogno. Eseguiti assai spesso nei concerti dell’Accademia, i Carmina ci son parsi stavolta d’una qualità esecutiva più raffinata ed insieme più coinvolgente dell’usuale. La Stasevska vi ha certamente impresso un’energia fatta non solo di tempi stringenti, ma anche e soprattutto di una percussività ritmica a tratti orgiastica (“In taberna quando sumus” e ovviamente l’incipit e il finale “O Fortuna”) e di una potenza sonora cui a poche orchestre, come quella di Santa Cecilia, è concesso dar esito con tale sfolgorante e sempre intatta patina timbrica. Peraltro pur le pagine di intimo e sensualissimo lirismo hanno ricevuto dal podio una cura del ductus melodico particolamente accattivante. Pensiamo soprattutto al maliziosissimo “Amor volat undique”, con il coro infantile e pochi strumenti, trasparenti e colorati come una piccola vetrata. O a quel “Dulcissime!” che è una vera estasi d’amore; o ancora a quella danza lenta che intreccia profferte e attese tra voci maschili e femminili, “Chume, chume geselle min”. Ovvio che anche la parte umoristica e quella tabernaria abbiano ricevuto un risalto cui forse i cromosomi slavi della Stasevska hanno permesso di dare un gusto singolarmente grottesco.
Di particolare lignaggio è apparso il trio di voci chiamate a sostenere i non facili numeri solistici: Mattia Olivieri ne aveva il maggior quantitativo ed è stato svettante nell’impagabile assolo “Ego sum abbas cucaniensis” o appassionato nei palpitanti “Circa mea pectora” e “Estuans interius”. Giuliana Gianfaldoni una volta di più ha dato prova d’una voce d’invidiabile purezza e d’un canto sempre malioso, ad ogni pur vertiginosa altezza di pentagramma. Marco Santarelli nell’ineffabile assolo del Cigno ha saputo trovare emissioni di testa e di falsetto particolarmente divertenti (assieme ad un lancio di residue piume bianche…).
Quasi inutile ribadire la resa dell’orchestra e dei cori, additati dalla Stasevska con particolare gratitudine. Pubblico entusiasta e numeroso, nonostante il maltempo e le invasioni di popolo da e verso lo Stadio Olimpico…
Maurizio Modugno