SCHUMANN Concerto in la minore per violoncello e orchestra op. 129 SHOSTAKOVICH Sinfonia n. 10 in minore op. 93 violoncello Jeremias Fliedl Orchestra Sinfonica di Milano, direttore Emmanuel Tjeknavorian
Milano, Auditorium di Milano, 19 gennaio 2025
Schumann e Shostakovich, un binomio singolare quello proposto dall’Orchestra Sinfonica di Milano nel programma che apre il 2025. La scelta di eseguire musiche di Shostakovich è comprensibile, dato che quest’anno ricorrono i 50 anni dalla sua morte. Ma perché accostarlo a Schumann? Approfondendo il percorso musicale di Shostakovich si scopre, in realtà, che Schumann fu tra i suoi primi interessi, tanto da suonare all’esame di diploma l’Humoreske e il Concerto per pianoforte del compositore tedesco, continuando in seguito a studiarlo e ad approfondirlo in vista dei recital pianistici. Un fatto non molto noto è anche il suo coinvolgimento nella ristrumentazione proprio del Concerto per violoncello qui programmato, operazione sollecitata da Mstislav Rostropovich in persona e che alla fine è parsa migliorare la stesura originale della parte orchestrale con un maggior risalto dato ai fiati e un inatteso inserimento dell’arpa nel secondo movimento. Per il concerto milanese si è scelta comunque la versione d’autore in cui è il solista l’assoluto protagonista, con l’orchestra che lo sostiene, ma che spesso non va oltre il mero accompagnamento. Nato come Concertstück nel 1850, e mai eseguito vivente l’autore, il Concerto per violoncello in la minore è un lavoro tematicamente coeso, lo stile è rapsodico e i tre movimenti, che si susseguono senza soluzione di continuità, presentano palesi congruenze tra di loro. Jeremias Fliedl lo ha affrontato ben consapevole della sua ciclicità strutturale mostrando ampia cavata, timbrica rotonda, ma soprattutto cantabilità intima e sempre espansiva. Il tratto più interessante di questa interpretazione va ricercato nella capacità esibita dal giovane violoncellista austriaco di saper raccontare senza mai perdere di vista la linea musicale, una linea restituita in modo fantasioso, poeticissimo, mai ostentando le abilità tecniche. Anche nel finale, più elettrico, Fliedl ha saputo consolidare i valori prettamente musicali del concerto schumanniano senza farsi ingolosire da inutili virtuosismi o manierismi. Ottima l’intesa con Emmanuel Tjeknavorian che lo ha assecondato senza mai prevaricarlo, mostrando comunque personalità e intraprendenza sia negli accompagnamenti che nei passaggi di sola orchestra, virili e scolpiti. Il direttore austriaco, da pochi mesi direttore principale dell’orchestra, è poi salito in cattedra confrontandosi con quello che era il pezzo forte del programma: la Decima Sinfonia di Dmitri Shostakovich, una vera e propria icona all’interno della produzione del compositore russo. Completata pochi mesi dopo la morte di Stalin, nell’estate del 1953, è un’opera grandiosa, non certo trionfalistica, e pervasa da svariati momenti di pessimismo cupo e desolato interrotti da scatti violenti e furiosi. Per molti questa sinfonia è stata vista come tragico commento all’era staliniana appena conclusa. E il secondo movimento addirittura rappresenterebbe il ritratto feroce e brutale del dittatore. Tjeknavorian ha mostrato fin dalle prime battute una straordinaria padronanza della complessa partitura sottolineandone, con gesto chiarissimo e redditizio, ogni frase, ogni battuta, direi ogni nota. Tutto pulsava e fremeva tra clangori e ripiegamenti in una visione d’insieme tagliente e compatta, scolpita nel marmo. Ne è risultata un’interpretazione asciutta, scabra, quasi espressionista. Fin dal desolato incipit, tanto strisciante quanto allucinato (Moderato), Emmanuel Tjeknavorian ha costruito un percorso emozionale convincente ben calibrando i piani sonori e le dinamiche per giungere in modo naturale anche ai climax più fragorosi. E che dire poi dell’inesorabilità diabolica e selvaggia dello Scherzo, o del valzer straniante e assillante del terzo movimento, una danza macabra e grottesca, o ancora di quel Finale, apoteosi falsamente ottimistica della sinfonia, con l’ossessiva reiterazione risolutiva del motivo autobiografico DSCH (re mib do si). Giova ricordare che questo motivo, derivato dalla traslitterazione del suo nome in tedesco, era già stato utilizzato in lavori precedenti, ma in questa sinfonia assume i requisiti di forte elemento tematico, disperato grido munchiano da intendersi come atto liberatorio nei confronti del regime o piuttosto come una angosciante presa di coscienza personale.
Un Decima da ricordare, quindi, con il dovuto plauso ad un’orchestra, e alle sue prime parti, davvero in gran forma. Auditorium gremito e lunghi applausi e ovazioni finali.
Massimo Viazzo