La nobile eleganza del clarinetto di Giuffredi per Brahms-Berio

BYSTRÖM A Drama in the Air BRAHMS / BERIO Sonata per clarinetto e orchestra n. 1 in fa op. 120 PÄRT Fratres SHOSTAKOVIC Sinfonia da camera per archi op. 110a clarinetto Corrado Giuffredi Orchestra della Svizzera Italiana, direttore Holly Hyun Choe

Lugano, Auditorio Stelio Molo, 30 gennaio 2025

L’eleganza è fuor di dubbio la cifra stilistica dominante dell’arte di Corrado Giuffredi, primo clarinetto dell’Orchestra della Svizzera Italiana, solista il 30 gennaio nella Sonata per clarinetto e pianoforte n. 1 in fa op. 120, eseguita nella versione per clarinetto e orchestra di Luciano Berio del 1986. Insieme alla sua orchestra, diretta per l’occasione da Holly Hyun Choe, e nel suo auditorio, quel piccolo gioiello di acustica che è l’Auditorio Stelio Molo, nella sede della Radio della Svizzera Italiana a Lugano, Giuffredi si trovava in una condizione ideale e ha suonato in assoluta scioltezza, come forse si faceva nei salotti nobiliari e borghesi dell’Ottocento. La sua l’eleganza è evidente nel fraseggio e nel fluire quieto del ritmo ed è anche un’eleganza del suono, sempre morbido e rotondo, sempre a fuoco anche nei pianissimi, dove la musica, sia pure ridotta a un filo di voce, riesce ad arrivare nitida e rotonda alle orecchie del pubblico; non è certo una scoperta, eppure ogni volta è un’emozione.

In questo concerto luganese, oltretutto, era da apprezzare la capacità della direttrice Holly Hyun Choe, americana di origine coreana oggi attiva in Germania, di centellinare le dinamiche orchestrali evitando di rubare la scena al solista. La trascrizione di Berio, a dirla tutta, un po’ snatura la Sonata brahmsiana, trapiantandola a forza da una dimensione di intimo camerismo alla dimensione pubblica del palcoscenico con la conseguenza di dare alla parte originariamente destinata al pianoforte un peso timbrico eccessivo, ma se viene eseguita come avvenuto all’Auditorio Stelio Molo il fascino dell’originale resta quasi intatto. È un fascino sfuggente, in realtà, percorso da una sotterranea malinconia come lo sono un po’ tutte le pagine dell’ultima stagione creativa di Brahms, anche se nell’interpretazione levigata e amabile di Giuffredi la malinconia restava sullo sfondo. Con Giuffredi, infatti, la musica respira con una dolcezza e una tranquillità come raramente accade e nella Sonata op. 120 c’era un distillato di emozioni che sembrava provenire da un altro mondo, in cui tutto veniva trasfigurato e ogni spigolosità – penso ai ribattuti nel tema del movimento conclusivo – veniva smussato e addolcito. È stato così anche nel bis, un medley di temi dalla Rapsodia in blue e da Un americano a Parigi di George Gershwin in cui Giuffredi si è fatto accompagnare al pianoforte da Roberto Arosio, un bis sornione e pacioso, tutto da gustare nella levigata bellezza del fraseggio e del suono: un jazz che forse non è vero jazz nemmeno in partitura e che certo non è vero jazz tra le mani di due interpreti così raffinati e innamorati della bellezza.

La raffinatezza degli impasti timbrici era l’aspetto caratterizzante anche del primo brano della serata, A Drama in the Air composto dalla svedese Britta Byström nel 2021 come pezzo d’obbligo per il concorso della Radio danese per giovani direttori, la Malko Competition, le cui sottili trame sonore sono state rese bene da Holly Hyun Choe. Meno convincente l’interpretazione di Fratres, composto nel 1977 da Arvo Pärt e manifesto dello stile “tintinnabuli”, secondo la definizione dello stesso compositore, piuttosto sfilacciato nell’insieme e con qualche imprecisione di troppo nell’orchestra.

In conclusione, invece, c’era una pagina tutt’altro che raffinata nel timbro e tutt’altro che quieta nel fraseggio come la cupa Sinfonia da camera op. 110a di Dmitri Shostakovich, trascrizione realizzata da Rudolf Barshai con il permesso dello stesso compositore, del Quartetto n. 8. La gravità del primo movimento, i ritmi pungenti e incalzanti del secondo, il successivo valzer, straniato e sottile, e i due larghi conclusivi che sembrano una discesa nel nulla hanno un qualcosa di claustrofobico, come c’è qualcosa di claustrofobico in molta della musica di Shostakovich, ma quando si ricorda che l’Ottavo quartetto è stato composto nel 1960 in una Dresda ancora in rovina dopo i bombardamenti della II guerra mondiale da un Shostakovich in preda a pensieri di morte si riesce a inquadrarlo meglio. L’interpretazione di Holly Hyun Choe e dell’Orchestra della Svizzera Italiana è stata tutta nel segno della flessuosità del fraseggio piuttosto che dell’incisività del ritmo e della ruvidezza del suono: qualcosa si è perso sul piano della drammaticità e del senso di ineluttabilità in cui questa musica è immersa, soprattutto nel I e nel II movimento, molto si è guadagnato sul piano dell’introspezione psicologica nei due Larghi conclusivi, immersi in una rassegnata penombra in cui l’Orchestra della Svizzera Italiana ha trovato un buon equilibrio timbrico.

Luca Segalla

Data di pubblicazione: 1 Febbraio 2025

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